“Un rapace di una bellezza straordinaria, spiaggiato e stordito sulla spiaggia di Santa Teresa, vicino a Messina”. L’avvoltoio monaco è uno degli uccelli più maestosi d’Europa, con un’apertura alare di quasi 3 metri. In Italia è ormai estinto, ma vive sui Pirenei spagnoli e nel Massiccio centrale francese. Una grave intossicazione da piombo però ha fatto perdere l’orientamento a questo esemplare e lo ha spinto a volare a Sud, fino, in Sicilia. “Era dimagrito molto, pesava 6,2 chili quando lo abbiamo trovato” racconta Anna Giordano di Wwf. Insieme ad altri volontari lo ha curato per 5 mesi, per riportarlo in Francia e reintrodurlo in natura. “Quando è ripartito pesava 9 chili ed era in salute – spiega – Per ogni uccello che si salva però, molti muoiono”. La causa è il saturnismo, provocato dal piombo contenuto nelle cartucce e nei proiettili da caccia. Per questo i gruppi ornitologici delle province lombarde, insieme a numerose associazioni regionali e nazionali hanno lanciato online, su Change.org, la petizione “Stop al piombo sulle Alpi, basta rapaci intossicati”, che ha raggiunto già quasi 20mila firme.

Le specie più a rischio sono l’aquila reale, il grifone, il gipeto – un tipo di avvoltoio – e l’avvoltoio monaco, tutte oggetto di piani di salvaguardia nazionali ed europei. I rapaci infatti si cibano – in parte o in tutta la loro dieta – delle carcasse o delle viscere abbandonate sul terreno dai cacciatori, per trasportare le prede più agevolmente. “Il 60% di queste è contaminato” da munizioni o da frammenti di piombo. Questo agente rappresenta un pericolo anche per le persone che mangiano piatti a base di selvaggina, perché il piombo con la cottura diventa più facilmente assimilabile. Nel caso dei rapaci invece “sono i succhi gastrici molto acidi – spiega Alessandro Andreotti dell’Ispra – che favoriscono la dissoluzione del piombo”. Così, durante la digestione, assimilano il piombo e ne vengono avvelenati. La petizione chiede di bandire le munizioni al piombo e sostituirle con materiali più sostenibili. I divieti al momento in discussione in alcuni contesti regionali riguardano aree troppo limitate – inserite in Rete Natura 2000, nella “Direttiva Uccelli” o nella “Direttiva Habitat” – e rischiano di entrare in vigore troppo tardi: “A 3 o 10 anni dall’approvazione del Piano faunistico venatorio regionale in Lombardia. Dobbiamo accelerare i tempi” afferma Fabio Saporetti del Gruppo insubrico di ornitologia, tra i sostenitori della petizione.

La gravità del problema a livello europeo è stato evidenziato da uno studio molto approfondito curato dall’Agenzia chimica europea. A rafforzare l’allarme in Italia è stata però una ricerca di Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e Foreste, Parco nazionale dello Stelvio, Provincia di Sondrio, Ispra e Istituto zooprofilattico di Lombardia ed Emilia Romagna. Tra il 2005 e il 2019 sono state raccolte 252 spoglie di rapaci morti in tutto l’arco alpino e in FranciaAustria e Svizzera. Circa il 44 per cento di questi – 111 animali – erano vittime di saturnismo. “Almeno il 25 per cento delle 80 aquile reali analizzate aveva un’intossicazione acuta, in base alle concentrazioni di piombo nel fegato e reni – spiega Andreotti – Il 50 per cento aveva subito un’intossicazione cronica o subcronica, come risulta dai valori misurati nelle ossa. Sono numeri impressionanti”. A questi si deve aggiungere la quota di animali che hanno un’esposizione non mortale, ma comunque superiore ai livelli di sicurezza. I dati sono allarmanti anche per i grifoni, con valori anomali in quasi la metà delle carcasse. Persino avvoltoi più rari, come gipeti e avvoltoi monaci, che vivono per lo più in aree protette, non sono comunque al riparo. Un quarto di questi animali muore per avvelenamento o va incontro a sofferenza epatica o renale. In altri casi invece sono indeboliti, disorientati: non riescono a “manovrare in volo, quindi sbattono contro i cavi dell’elettricità o non sono capaci di predare e difendersi durante le competizioni tra simili – spiega ancora Andreotti – Gli effetti del piombo influiscono negativamente anche sulla fertilità”, causando quindi un pesante calo demografico soprattutto nelle specie più longeve.

Questa sostanza tossica causa poi comportamenti anomali: “Il 7 per cento dei rapaci aveva valori di piombo significativamente alti – da 0,5 a 20 milligrammi per chilo – in grado di superare la barriera ematoencefalica e arrivare al cervello – afferma Enrico Bassi del Parco Nazionale dello Stelvio – Così non percepiscono come pericolosi elementi umani o del paesaggio. In Trentino, per esempio, abbiamo trovato un’aquila a bordo strada, con la testa nel tombino. Un’altra tra le auto in un’officina meccanica a Sondrio. Un gipeto sul tetto di una chiesa di montagna, dopo settimane che vagava di casa in casa ed era sfinito”.

I primi studi sul saturnismo nei volatili risalgono in realtà agli anni Cinquanta. L’intossicazione riguardava allora soprattutto le anatre e gli altri uccelli acquatici. Il problema infatti non riguarda solo i rapaci, ma anche gli uccelli granivori che ingeriscono i pallini caduti al suolo o sul fondo delle zone umide, scambiandoli per semi o per i sassolini utilizzati per favorire la frantumazione del cibo. Il divieto totale all’uso del piombo in Europa nelle zone umide però scatterà solo a febbraio 2023, a seguito di un bando approvato dall’Unione Europea nell’ambito del regolamento comunitario Reach. Sempre in ambito Reach, nel 2018 una procedura è stata avviata per le munizioni da caccia nelle aree terrestri, che causano ogni anno, secondo le stime, la morte di 1 milione e 300mila uccelli solo nell’Unione Europea. Al momento siamo però ancora in fase di istruttoria e l’iter potrebbe richiedere tempi molto lunghi. Le alternative al piombo in realtà ci sono, a costi non proibitivi per gli armieri: proiettili in rame per gli ungulati (cervi, cinghiali e caprioli) e in tungsteno o acciaio per gli animali più piccoli. Le resistenze del mondo della caccia sono però ancora molte, anche se attivisti ed esperti si limitano a chiedere che questo hobby sia più sostenibile, senza accenti antivenatori. Norme e controlli però possono accelerare il percorso in questa direzione e salvare molte delle specie più rare e maestose delle nostre regioni. “Se usiamo rapaci come sentinelle, agli apici degli ecosistemi, ci accorgiamo che il problema deve essere affrontato con urgenza, da ambientalisti, politici e cacciatori. Non bisogna cercare scuse per perdere tempo”.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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