Il rapporto “Stop pesticidi” 2022 di Legambiente fornisce dati su cui riflettere: la frutta si conferma la categoria più colpita, oltre il 70,3% dei campioni contiene uno o più residui. Da segnalare l’uva da tavola (88,3%), le pere (91,6%) e i peperoni (60,6%).

La frutta si conferma la categoria più colpita: oltre il 70,3% dei campioni contiene uno o più residui. Da segnalare l’uva da tavola (88,3%), le pere (91,6%) e i peperoni (60,6%).

La presenza di pesticidi all’interno di frutta e verdura aumenta. Certo, per fortuna nella maggioranza dei casi si tratta di una presenza in tracce, ma resta il fatto che si tratta di un incremento preoccupante. Lo attesta il rapporto “Stop pesticidi”  , elaborato da Legambiente. Il dato eclatante, in controtendenza rispetto all’edizione precedente del dossier, è proprio l’aumento dei campioni in cui sono state trovate tracce di pesticidi: il 44,1%.

In tutto i campioni di alimenti di origine vegetale e animale analizzati nel 2021 sono stati 4.313. Nonostante la bassa percentuale di campioni irregolari, quindi con principi attivi oltre le soglie consentite, pari all’1% (in lieve diminuzione rispetto all’anno precedente), solo il 54,8% del totale dei campioni risulta senza residui di pesticidi. Lo scorso anno, la rilevazione aveva raggiunto quota 63%. A destare preoccupazione è, inoltre, il multiresiduo, un problema non sufficientemente indagato dal punto di vista scientifico. Sono stati trovati un campione di uva con 14 residui, uno di pere con 12 residui, uno di peperoni con 10 residui.

In linea con il trend degli anni passati, la frutta si conferma la categoria più colpita: oltre il 70,3% dei campioni contiene uno o più residui. Migliore il quadro delle analisi della verdura: il 65,5% dei campioni analizzati risulta senza residui. Da segnalare l’uva da tavola (88,3% di campioni con tracce di pesticidi), le pere (91,6%) e i peperoni (60,6%).

“Dall’analisi dei dati rilevati – ha dichiarato Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente – emerge chiaramente la necessità di intraprendere la strada dell’agroecologia con ancora più determinazione, mettendo in atto, in maniera convinta e senza tentennamenti, quanto stabilito dalle direttive europee Farm to Fork e Biodiversity 2030. Con l’approvazione della legge sul bio indubbiamente è stato fatto un importante passo in avanti. Adesso, serve passare dalla teoria alla pratica, affinché quel traguardo non risulti solo una bandierina ma un patrimonio per l’intero settore. Servono, quindi, meccanismi incentivanti attraverso cui dare gambe e fiato alla transizione, a partire dalla messa a disposizione di risorse. Serve, inoltre, che vengano applicate in maniera stringente le norme, stando alla larga da eventuali ipotesi di deroghe all’utilizzo di specifici fitofarmaci, come purtroppo sta avvenendo con il glifosato. È, infine, di fondamentale importanza approvare il regolamento per l’utilizzo dei fitofarmaci presentato lo scorso 22 giugno dalla Commissione europea: prevede obiettivi di riduzione dell’uso dei pesticidi legalmente vincolanti per gli Stati membri, a oggi a rischio a causa di continue richieste di rinvii da parte di alcuni Paesi tra cui l’Italia. Da ultimo ma non per ultimo bisogna aumentare significativamente le aree coltivate a biologico che rappresentano un metodo efficace di ridurre gli input negativi in agricoltura”.

Tra i pesticidi più presenti troviamo (in ordine decrescente): Acetamiprid, Boscalid, Fludioxonil, Azoxystrobina, Tubeconazolo e Fluopyram. Da segnalare sono altresì i residui di Thiacloprid trovati in 2 campioni di miele, in 1 pesca e in 1 mela; tracce di residui di Imidacloprid sono stati trovati in 34 campioni tra albicocche, arance, banane, carciofi, mandarini, peperoni, uva e pomodori. In entrambi i casi, si tratta di fitofarmaci revocati dal mercato dal 2020. A destare preoccupazione anche i residui di DDT in 2 campioni di derivazione animale (tessuto adiposo di cavallo e di bovino). In riferimento al biologico, il 91,1% dei campioni risulta regolare e senza residui. Non risultano inoltre presenti campioni con tracce multiresiduali. Per quanto riguarda i campioni con un solo residuo, la percentuale si attesta intorno al 5,4%, dato probabilmente legato al cosiddetto effetto deriva dovuto a coltivazioni convenzionali limitrofe.

 

Fonte: TerraNuova.it

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