L’eruzione ha lasciato senza internet l’arcipelago. In arrivo i primi soccorsi. Nel frattempo ci si chiede quali saranno le conseguenze sul clima e biosfera.

Un’esplosione avvertita alle Isole Fiji, a più di 750 chilometri di distanza, fino alla Nuova Zelanda, distante oltre 2mila chilometri. Un boato che ha alzato una nuvola di polvere alta chilometri e causato un aumento della pressione atmosferica avvertito anche in Italia. Il 15 gennaio scorso, nell’arcipelago di Tonga, il vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Ha’apai è eruttato, mostrando tutta la sua potenza a livello planetario. Una seconda eruzione è stata invece registrata lunedì 17 gennaio.

Tonga Volcano eruzioneImmagine satellitare realizzata da Maxar Technologies

Il vulcano sottomarino Hunga-Tonga-Hunga-Ha’apai

La violenta eruzione è stata fotografata dai satelliti, immortalando anche l’onda d’urto che ha percorso l’intero pianeta. Le immagini successive mostrano che l’isola, disabitata, è completamente scomparsa, lasciando solo alcuni lembi di terra fuori dal livello del mare. Il vulcano era eruttato l’ultima volta nel 2014, ma negli ultimi mesi aveva fatto registrare un’attività piuttosto intensa.

Il vulcano è posizionato esattamente sopra quella che viene definita come la cintura di fuoco, ovvero una linea immaginaria a forma di cavallo che si trova ai margini dell’oceano Pacifico e delle placche continentali. Data la tettonica, la placca oceanica sta sprofondando sotto le placche continentali, dando vita ad una “cintura” appunto molto attiva, sia per la presenza di vulcani, sottomarini e non, che di terremoti. L’intera cintura è lunga circa 40mila chilometri e comprende arcipelaghi come Polinesia, Filippine, Indonesia, Nuova Zelanda e più su il Giappone.

Come scrive il ricercatore Boris Behncke dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) “molti vulcani legati a zone di subduzione, anch’esso produce magmi con una composizione andesitica, una composizione tipica di molte eruzioni violentemente esplosive. Questo vulcano si eleva per circa duemila metri sopra il fondo marino circostante e la sua sommità è troncata da una caldera di circa 5 km di diametro, che giace quasi interamente sotto il livello del mare. Solo alcune creste dell’orlo calderico appaiono dalla superficie marina, formando le isole conosciute come Hunga Tonga e Hunga Ha’apai”.

Gli effetti immediati dell’eruzione del vulcano

Subito dopo l’eruzione si sono sviluppate enormi nubi di cenere che hanno ricoperto anche la principale isola dell’arcipelago, Tonga, che ospita la maggior parte della popolazione (poco più di 100mila persone). Le autorità hanno invitato gli abitanti a chiudersi in casa e ad uscire solo se dotati di mascherine. La maggiore preoccupazione è data dal possibile inquinamento delle riserve di acqua potabile e del cibo.

Immediato inoltre l’allarme tsunami che ha colpito sì l’isola principale, ma che è arrivato fino alle coste del Giappone, sembra senza danni rilevanti, e sulle coste occidentali degli Stati Uniti e dell’America del Sud, colpendo alcune zone di Santa Cruz, nella California Centrale, ma anche Cile, Ecuador e Perù: qui si sono registrati diversi allagamenti e la morte di due persone.

L’esplosione ha inoltre danneggiato l’unico cavo sottomarino della fibra ottica, lasciando l’intero arcipelago senza possibilità di comunicazioni con il resto del mondo. La società proprietaria ha affermato che probabilmente è stato interrotto dall’eruzione e che le riparazioni potrebbero richiedere settimane. Secondo l’Associated press “la perdita del cavo lascia la maggior parte dei tongani incapaci di utilizzare Internet o effettuare telefonate all’estero. Coloro che sono riusciti a ottenere messaggi hanno descritto il loro paese come un paesaggio lunare mentre iniziavano a ripulirsi dalle onde dello tsunami e dalla caduta di cenere vulcanica”.

I primi aiuti di Australia e Nuova Zelanda

Sia l’Australia che la Nuova Zelanda hanno subito attivato i soccorsi. Quest’ultima ha già inviato due navi della Marina – cariche di acqua potabile e altri elementi essenziali – che dovrebbero raggiungere Tonga in circa tre giorni di navigazione (giovedì 20 gennaio). Anche l’Australia ha inviato aerei di ricognizione e sembra che entrambi i paesi siano in contatto con il governo dell’arcipelago. Al Jazeera scrive che “la polizia tongana ha detto all’Alto Commissariato della Nuova Zelanda che il bilancio delle vittime confermato era di due, ma il blackout delle comunicazioni significa che la vera portata delle vittime non è ancora chiara”.

Gli effetti (possibili) dell’eruzione sul clima

La recente eruzione ha portato gli scienziati di tutto il mondo a tentare di capire gli effetti a breve e lungo termine dell’esplosione e della conseguente fuoriuscita di gas e ceneri in atmosfera. Il primo paragone che viene fatto è relativo all’ultima eruzione simile avvenuta negli ultimi 30 anni, ovvero quella del vulcano Pinatubo del 1991 nelle Filippine, considerata la seconda più grande eruzione vulcanica del 20mo secolo, che uccise circa 800 persone. In quel caso vennero immesse in atmosfera circa 20 milioni di tonnellate di anidride solforosa (SO2). L’SO2 reagendo con le goccioline d’acqua si trasforma in acido solforico, modificando l’aerosol atmosferico e causando un effetto riflettente sulla radiazione solare. Ciò comportò una riduzione delle anomalie di temperatura (un raffreddamento) di circa 0,2°C, effetto che durò circa un paio d’anni. Secondo gli ultimi dati rilevati da Copernicus e dai satelliti Nasa, l’eruzione di Hunga-Tonga-Hunga-Ha’apai ha invece rilasciato in atmosfera 400mila tonnellate, quindi una quantità 50 volte inferiore.

“Il contributo alla fluttuazione climatica del prossimo biennio dovrebbe essere talmente irrisoria, dell’ordine del 2-3 per cento rispetto all’evento del 1991, da non essere neanche misurabile, finendo nascosta dal rumore delle altre fisiologiche fluttuazioni interannuali dovute alle più disparate variabili”, scrive il meteorologo Filippo Thiery sul suo profilo. “Insomma, se l’eruzione del 1991 è stata un sassolino nell’oceano del clima globale, questa del 2022 non è neanche equiparabile a un granello di polvere”. La conferma viene anche dal climatologo Zeke Hausfather che su Twitter spiega “sembra che probabilmente non sia sufficiente per influenzare significativamente le temperature globali. Detto questo, verranno effettuate più misurazioni e saranno possibili più eruzioni”.

Gli effetti biologici dell’eruzione

In questo caso si possono ipotizzare diversi effetti, basati soprattutto sull’ampia letteratura scientifica relativa ai vulcani sottomarini. A tal proposito è interessante citare uno studio pubblicato su Nature nel 2012, che valutava gli effetti biologici e climatici dell’eruzione del vulcano sottomarino a sud dell’isola di El Hierro, Isole Canarie, Spagna nel 2011. I risultati hanno trovato importanti alterazioni fisico-chimiche delle acque circostanti, come riscaldamento, acidificazione e riduzione dell’ossigeno. Tutti effetti che si possono valutare a livello oceanico e legati ai cambiamenti climatici. I ricercatori hanno inoltre scoperto che gli organismi marini hanno modificato la loro distribuzione all’interno della colonna d’acqua, registrato una riduzione dei tassi di calcificazione (formazione delle conchiglie) a profonde alterazioni delle migrazioni verticali della comunità pelagiche (ovvero tutti quegli organismi che nuotano o vivono trasportati dalla corrente).

A conferma di quanto un’eruzione del genere possa influire sull’ecosistema marino esiste uno studio italiano sulle isole Eolie di Vulcano e Panarea. In questo caso i ricercatori hanno voluto capire come la presenza di fumarole solforose ad alta temperatura e le alte emissioni di CO2 presenti influiscano sulla flora e fauna sottomarina. Da un lato hanno registrato evidenti segni di corrosione delle conchiglie dei gruppi strettamente dipendenti dalla chimica dei carbonati, come i molluschi gasteropodi, dall’altro hanno portato alla scoperta di nuovi ceppi di batteri termofili, ben adattati alle condizioni estreme di questi siti.

Per quanto riguarda Tonga bisognerà aspettare. Ciò che si può oggi vedere – grazie alle ultime immagini satellitari – è un’isola completamente modificata dall’eruzione. Segno che il pianeta è vivo e che ogni tanto “esplode” con conseguenze spesso catastrofiche per chi lo abita, uomo compreso.

Fonte: LIFEGATE

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