Greenpeace: «Come la carne venduta in Europa distrugge il Pantanal»

Articolo del 09 Marzo 2021

Continuano le indagini di Greenpeace per fare luce sugli impatti legati alla produzione e al consumo di carne e soia (destinata principalmente alla mangimistica) sulle foreste del Sudamerica. Nell’ultimo rapporto l’associazione analizza «il legame fra la perdita di biodiversità nel Pantanal e il business delle principali aziende brasiliane di lavorazione carne».

Continuano le indagini di Greenpeace per fare luce sugli impatti legati alla produzione e al consumo di carne e soia (destinata principalmente alla mangimistica) sulle foreste del Sudamerica. Dopo “Foreste al Macello  ”, che svela il legame nascosto tra la deforestazione del Gran Chaco e la produzione di carne esportata in Europa e “Foreste al Macello II   ”, che denuncia la deforestazione dell’Amazzonia brasiliana legata alla creazione di grandi allevamenti per il bestiame, «con “Foreste al Macello III  ” abbiamo analizzato il legame fra la perdita di biodiversità nel Pantanal e il business delle principali aziende brasiliane di lavorazione carne: JBSMarfin e Mireva. E anche in questo caso, scopriamo che il nostro Paese ha più responsabilità di quante crediamo» spiega Martina Borghi di Greenpeace.

«Il Pantanal, la zona umida più grande del mondo è infatti in grave pericolo: nel 2020, dopo due anni consecutivi di grave siccità, circa il 30% del Pantanal brasiliano è stato consumato dalle fiamme. Fonti ufficiali affermano che la stragrande maggioranza di quei devastanti incendi è stata causata dall’attività umana, legata principalmente all’accaparramento delle terre e all’espansione di aziende agricole dedicate all’allevamento e di impianti di lavorazione della carne – scrive Borghi  – Le società brasiliane JBS – la più grande azienda di lavorazione carne del mondo -, Marfrig e Minerva hanno acquistato carne e derivati da aziende agricole legate, direttamente e indirettamente, all’accaparramento delle terre e agli incendi Pantanal. Questa carne è stata venduta in tutto il mondo, Italia inclusa: tra il 1 gennaio 2019 e il 31 ottobre 2020, il nostro Paese ha importato dal Brasile oltre 17mila tonnellate di carne e derivati, destinate a grossisti che riforniscono la ristorazione e la grande distribuzione, affermandosi come il principale importatore dell’Ue e il sesto a livello mondiale».  

«Ma i cittadini europei sono stanchi di essere complici inconsapevoli della distruzione di foreste e biomi fondamentali per il Pianeta, come il Pantanal. Infatti, sono state oltre 1 milione le persone in Europa – tra cui più di 75 mila italiane e italiani – che l’anno scorso hanno partecipato alla consultazione europea per chiedere una normativa comunitaria stringente che ponga fine alla circolazione sul mercato europeo di materie prime e prodotti la cui estrazione, raccolta o produzione ha o rischia di avere un impatto negativo su foreste, altri ecosistemi e diritti umani – prosegue ancora Greenpeace – La Commissione europea sta finalmente lavorando ad una nuova normativa per affrontare l’impatto dei consumi dell’Ue sulle foreste del mondo, ma, al momento, importanti ecosistemi come le zone umide, le praterie e le torbiere resterebbero escluse e quindi esposte allo sfruttamento. Greenpeace chiede all’Ue di fare in modo che la filiera dei prodotti venduti in Europa sia libera non solo dalla distruzione delle foreste, ma anche dalle violazioni dei diritti umani e dalla distruzione di altri ecosistemi come il Pantanal. Inoltre, chiediamo ai governi europei   di rifiutare l’accordo commerciale UE-Mercosur, che aumenterebbe il commercio di questo tipo di prodotti».

Deforestazione e produzione di carne in Brasile, ecco cosa succede di solito:

  1. Un determinato bioma (la foresta Amazzonica, il Pantanal, il Cerrado…), cha appartiene al pubblico demanio, viene distrutto (spesso illegalmente e con l’utilizzo del fuoco) e trasformato in pascoli da una determinata azienda agricola.
  2. Tramite un’autodichiarazione, l’azienda agricola iscrive l’area forestale, deforestata e occupata, nel Registro Ambientale Rurale per regolarizzarne la proprietà.
  3. Dopo un certo periodo di tempo, gli animali che pascolano sull’area deforestata vengono venduti a un’altra azienda agricola (che spesso appartiene alla stessa persona o a soci) che opera in aree non legate a deforestazione.
  4. La nuova azienda agricola acquista regolarmente il bestiame e a sua volta lo vende a un macello o ad aziende di lavorazione della carne.
  5. Le aziende di lavorazione della carne la rivendono sul mercato nazionale o internazionale.
  6. Nei fast-food, ristoranti, supermercati arriva – assieme ad altre produzioni -, carne prodotta a scapito delle foreste, di cui spesso i rivenditori europei ignorano l’origine (punti 1, 2 e 3). In Italia la maggior parte della carne proveniente dal Brasile viene acquistata da grossisti che riforniscono la ristorazione e la grande distribuzione.

«Spesso quel che succede nei passaggi 4 e 5 serve a “confondere le acque”, cioè a far perdere le tracce della reale provenienza della carne, occultando il legame fra produzione della carne e deforestazione. Senza un controllo accurato di tutti i fornitori, le aziende europee rischiano di acquistare carne che proviene da una filiera “contaminata” dalla deforestazione» conclude Martina Borghi.

 

Fonte: TerraNuova.it

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