SALUTE: Cambio di paradigma per il settore assicurativo.

Articolo del 26 Agosto 2020

Tema centrale, e più che mai attuale, è il ramo salute. In una sessione parallela dell’Insurance Connect Innovation Summit 2020, dedicata proprio a questo tema, si è affrontata l’evoluzione del comparto dal profilo del mondo dei rischi.
Non è una novità che il settore salute sia sempre più presente nelle strategie delle compagnie, sia per quanto riguarda gli investimenti, sia sotto il profilo dei prodotti da sviluppare per proteggere i clienti. Il panel si è rivelato un momento ricco di contenuti e particolarmente animato, che è ruotato soprattutto attorno alle risposte delle compagnie di fronte all’emergenza Covid-19 e alle prospettive del ramo, che ha assunto un’importanza strategica ancora più decisiva nella costruzione di un nuovo welfare basato su prevenzione, protezione e assistenza.
Il dibattito è stato introdotto da un intervento di Stefano D’Ellena, head of insurance Italy di Everis Italia (di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti), che ha poi partecipato anche alla tavola rotonda condotta da Stefano Cazzaniga, partner e director della practice health care di Boston Consulting Group.
SE STAI MALE, STAI A CASA
E quindi, si diceva della pandemia, del lockdown, del costo prima di tutto umano. Ma prima ancora del dramma dei contagi, dei ricoveri e delle vittime, lo shock forse più grande è stato sentirsi dire di stare a casa: soprattutto se si è ammalati. “Se stai male stai a casa è un messaggio fortissimo, soprattutto per gli over 65 che in media fanno tre visite mediche al mese”, ha commentato Marco Mazzucco, direttore generale di Blue Assistance. Più di un terzo della popolazione, ha ricordato, vive da sola: “difficile dire alle persone che stanno male di rimanere anche da sole”, ha aggiunto. “Covid-19 ci ha dimostrato in modo lampante che c’è bisogno di un forte cambio di paradigma, su cui, in effetti, il mercato stava già lavorando”, ha detto Mazzucco.
Un esempio? La consegna dei farmaci a domicilio: Blue Assistance aveva investito in una start up attiva proprio in questo campo, che si è ritrovata in overbooking durante il lockdown. “Nel campo della salute – ha sottolineato Mazzucco – servizio significherà interazione costante: la polizza interverrà solo in ultima istanza, lungo un rapporto che non si baserà più sul contratto assicurativo”.
SANITÀ INTEGRATIVA NON È SANITÀ ELITARIA
Per le compagnie specializzate nel ramo salute, poche a dire il vero, la comparsa del nuovo coronavirus è equivalsa a uno stress-test molto impegnativo. Ne è convinta Giovanna Gigliotti, ad di UniSalute, che ha parlato di “sfide già note”, come il contenimento della spesa sanitaria pubblica e l’invecchiamento della popolazione, e di “nuovi bisogni di protezione”. UniSalute ha un programma specifico per il Covid-19 perché, in quanto specialisti della salute, “era doveroso farlo”, ha detto Gigliotti
“Nei mesi del lockdown – ha argomentato l’ad – è emerso anche un altro problema: l’accesso alle cure e alle terapie oltre a quelle contro il Covid-19 è diventato un problema perché il Ssn è stato travolto e le strutture private in convenzione sono state chiamate a supportare il settore pubblico”. UniSalute ha cercato, tra le altre cose, di facilitare attraverso la tecnologia la relazione tra pazienti e medici: ma non ci si può fermare certo qui. “Pensiamo – ha spiegato Gigliotti – che ci sia spazio per una vera sinergia: sanità integrativa non è sinonimo di sanità elitaria, non può servire solo a tagliare le code e i tempi d’attesa, ma occorre assumersi davvero i rischi della salute dei cittadini”.
ABBASSARE LE BARRIERE D’INGRESSO
Nella fase emergenziale c’è stata più collaborazione ma sono comunque rimaste indietro 13 milioni di prestazioni sanitarie. Ragionare in un’ottica d’integrazione dovrebbe essere ormai normale. Occorrerebbe un progetto di sanità di prossimità che col tempo è stata smantellata.
“Sarebbe un errore dimenticare quest’esperienza dopo la fase emergenziale”, ha commentato Marco Giovannini, head of business development, sales, product & marketing di Generali Welion, rivelando quanto la telemedicina ormai abbia ricevuto una spinta decisiva. “Bisogna imparare a usare al meglio la digitalizzazione per favorire il benessere dei consumatori e far risparmiare il settore pubblico – ha spiegato Giovannini –, abbassando le barriere all’ingresso: gli assicuratori devono essere aggregatori ancora più preparati, occorre trovare una linea comune, di sistema”.
Forse, ha aggiunto il manager, ci sono fin troppi provider di digital health e c’è il rischio di uno spreco d’investimenti: “il mio parere è che bisogna standardizzare il più possibile i servizi da remoto per essere efficaci. La semplificazione passa dalla similarità delle diverse soluzioni. C’è necessità di specializzazione per fare volumi e di economie di scala per assorbire i costi”, ha concluso.
DAL VIDEOCONSULTO ALLA GENOMICA
Uno dei modelli più interessanti di integrazione nel campo della salute, secondo Maurizio Cortese, ceo di Intesa Sanpaolo Smartcare, è la piattaforma Wedoctor, che integra la chat, il videoconsulto, il delivery di materiale medico e di farmaci. “È vero che in questo campo – ha precisato Cortese – ci sono grandi sviluppi, ma non credo in formule magiche, perché le persone fanno ancora fatica ad affidarsi a certi servizi. Inoltre, c’è un tema di fiducia: per noi essere un operatore autorevole è importante e questo status ci permette di fare proprio quello per cui siamo nati”.
Gli assicuratori devono diventare il punto d’accesso dell’ecosistema salute, ha ribadito D’Ellena di Everis Italia. “Gli operatori del mercato – ha consigliato – devono puntare sulle start up più avanzate di medicina predittiva”. La genomica è uno dei principali trend in termini di ricerca e accessibilità. In cinque si sono abbattuti in modo straordinario tempi e costi per sequenziare il Dna: “c’è però ancora scarsa informazione riguardo le possibilità della genomica e la ricerca ha bisogno d’investimenti”, ha chiosato D’Ellena.
La salute è un bene primario: gli effetti della pandemia nei Paesi in cui il virus è stato sottovalutato e in quelli in cui non esiste una sanità pubblica sono evidenti. Il dato di fatto è che non si può rinunciare al sistema sanitario nazionale. È altrettanto vero, però, che il pubblico non può coprire tutti i bisogni perché, come si è visto durante la fase peggiore dell’emergenza, non è solo un problema di risorse quanto di fattibilità e coordinamento.