Un impianto cerebrale sperimentale per la cura personalizzata della depressione

Articolo del 13 Ottobre 2021

Uno studio pilota ha permesso di curare la grave depressione di una paziente resistente a tutte le altre terapie grazie all’impianto di un “pacemaker” con cui stimolare specifiche aree del cervello, in modo simile a quello che avviene già in alcuni casi di epilessia.

Sarah ricorda com’era sia prima che dopo il trattamento. La giovane donna di 36 anni ricorda vividamente come, dopo che la sua depressione era passata, ha dovuto riadattarsi a svolgere i compiti che le altre persone svolgono abitualmente ogni giorno. Anche il semplice atto di guardare un menu ha richiesto un riadattamento.

“Ho anche dovuto imparare, o reimparare ad avere opinioni sulle cose, come scegliere qualcosa su un menu e ordinarlo, e non solo adattarmi a quello che volevano tutti gli altri”, ha detto in una conferenza stampa. “Mi ero così abituata al fatto di non riuscire a prendere decisioni, che nel corso degli ultimi cinque anni questa [capacità]… si era atrofizzata fino a scomparire.”

La depressione intrattabile di Sarah, che non aveva risposto nemmeno alla terapia elettroconvulsivante, ha ceduto dopo un trattamento sperimentale effettuato all’Università della California a San Francisco (UCSF). Il trattamento rileva l’attività cerebrale legata alla depressione e poi applica una stimolazione elettrica in un punto mirato per alleviare i sintomi. Il dispositivo usato per la procedura è già stato approvato per il trattamento dell’epilessia, dove somministra una stimolazione cerebrale dopo aver registrato i modelli elettrici che predicono un attacco imminente.

Nello studio pubblicato su “Nature Medicine”, i ricercatori descrivono come si sono mossi per trovare un sito di stimolazione ricorrendo a elettrodi per sondare i circuiti emozionali nel cervello di Sarah. In questo modo hanno scoperto che un’area avrebbe potuto abbassare l’ansia e un’altra aumentare i livelli di energia.

Quando il gruppo ha attivato un sito in profondità nel cervello di Sarah in un’area legata alla ricompensa, lo striato ventrale, la donna ha avuto una reazione immediata. Durante una sessione sperimentale, per distrarsi dai pensieri negativi Sarah stava facendo un piccolo lavoro di cucito, quando uno stimolo è stato applicato in quel punto. E il suo umore è rapidamente cambiato. Ha raccontato la sua sorpresa nel sentire che le piaceva quello che stava facendo: stava infatti sperimentando un senso di “gioia e felicità”.

I ricercatori volevano anche sapere quando somministrare uno stimolo. Precedenti ricerche sull’attivazione di circuiti neurali per alleviare la depressione con altre tecniche di stimolazione cerebrale profonda (deep brain stimulation, DBS) avevano dato risultati contrastanti. I tentativi precedenti non avevano mappato il cervello per tenere conto del fatto che la depressione può variare tra gli individui.

Quei tentativi avevano anche provato ad applicare una stimolazione continua. I ricercatori dell’UCSF sospettano che l’efficacia di questo tipo di trattamento dipenda dal sapere quando un elettrodo dovrebbe essere attivato in previsione di sintomi sempre più gravi, in analogia con l’approccio adottato per l’epilessia.

Hanno così cercato quello che chiamano un “biomarcatore” in grado di segnalare un allarme di questo tipo. L’hanno trovato nell’amigdala, che media i processi emotivi ed è anche collegata allo striato. L’attività neurale ad alta frequenza – le “oscillazioni gamma” – nell’amigdala indicava quando i sintomi stavano per peggiorare.

L’anno scorso il gruppo ha impiantato nell’emisfero destro del cervello di Sarah il dispositivo per l’epilessia Neuropace RNS (del valore di circa 30.000 dollari). Un filo elettrico raggiunge l’amigdala per rilevare l’attività gamma. Quando è presente, un segnale d’allerta raggiunge un sottile disco di metallo posto nel cranio. Il disco, un neurostimolatore, trasmette poi un impulso lungo un altro filo allo striato per reprimere i sentimenti di tristezza e depressione.

La stimolazione è applicata in una breve raffica di sei secondi per poi spegnersi fino a quando lo stimolatore è raggiunto da un altro “avviso gamma”. Questa accensione intermittente non dura più di 30 minuti al giorno. Ma per Sarah, ha fatto la differenza: “Il dispositivo ha tenuto a bada la mia depressione – ha detto Sarah alla conferenza stampa – permettendomi di tornare alla mia parte migliore e ricostruire una vita degna di essere vissuta”.

Sperimentando con altri pazienti, la terapia sarà di nuovo personalizzata. Dovranno anche essere sottoposti alla procedura di “sondaggio elettrico” per cercare le aree di stimolazione cerebrale più adatte alla loro depressione. Ma le sfide che accompagnano il caso di Sarah rendono i ricercatori dell’UCSF ottimisti: “Non sapevamo se saremmo stati in grado di trattare la sua depressione, considerato quanto era grave”, ha detto alla conferenza stampa Katherine Scangos, medico all’UCSF e autrice principale dell’articolo su “Nature Medicine”.

Anche i ricercatori di lunga data della DBS hanno preso nota: “Questo è un caso interessante e un’importante dimostrazione di principio”, osserva Helen Mayberg, neurologa alla Icahn School of Medicine del Mount Sinai Hospital, pioniera dei precedenti studi sulla DBS per la depressione, che non è coinvolta nel nuovo studio. “Il tempo dirà se questo approccio migliora sostanzialmente le strategie più semplici a circuito aperto [senza biomarcatori].”

Andres Lozano, docente di neurochirurgia all’Università di Toronto e collaboratore di Mayberg, non coinvolto nello studio su “Nature Medicine”, dice che il lavoro è una “scoperta emozionante che porta a un approccio più personalizzato alla depressione, così da somministrare in tempo reale la stimolazione cerebrale quando e dove è necessario”. E aggiunge che “rimangono diverse domande, tra cui la generalizzabilità di questi biomarcatori a tutti i pazienti e se l’applicazione della stimolazione produca più di semplici cambiamenti nelle fasi acute, comportando davvero un beneficio duraturo”.

Sarah è solo una paziente. Lo studio in cui è stata arruolata era una “prova di concetto”, quello che i ricercatori chiamano gergalmente uno studio “n of one“, ossia, appunto, su un solo paziente. “Stiamo ancora imparando, siamo all’inizio, molto all’inizio della comprensione di come funziona”, dice il neurochirurgo dell’UCSF Edward Chang, coautore senior dello studio. L’UCSF è in procinto di iniziare la sperimentazione su altri 11 pazienti. La nuova ricerca potrebbe così fornire un’idea migliore se prendendo di mira solo il circuito cerebrale giusto sia possibile sollevare la cortina di oscurità che incombe su una persona gravemente depressa.

 

Fonte: Le Scienze

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