Cosa deve fare chi si ammala di Covid dopo la prima dose di vaccino?

Articolo del 12 Maggio 2021

Un «nuovo fenomeno» sul quale ancora non ci sono dati certi. Perché può succedere. Le risposte alle domande di chi risulta positivo al virus: seconda iniezione superflua.

Mentre la campagna vaccinale avanza si moltiplicano i casi di un «nuovo fenomeno»: le infezioni da Covid-19 in chi ha già ricevuto una prima dose di vaccino. Ancora non esistono, in Italia né all’estero, dei numeri in grado di fotografare la situazione, per cui è per ora impossibile dire quanto sia frequente l’evento. E mancano anche studi scientifici mirati su questi episodi perché esperti e autorità li stanno raccogliendo man mano che si verificano per poi analizzarli. A tranquillizzare gli interessati c’è comunque il fatto che nella maggior parte delle persone che hanno ricevuto la prima immunizzazione il virus si presenta in maniera lieve, in modo asintomatico o quasi.

Restano però aperti tutti gli altri dubbi, a cominciare dal primo quesito: perché accade d’infettarsi anche dopo una prima iniezione? «Perché l’efficacia del vaccino non è istantanea — risponde Vittorio Demicheli, presidente del Comitato sorveglianza vaccini dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) —. Come ogni cura, per fare effetto, richiede il suo tempo. Un tempo che varia anche da persona a persona. Possono volerci giorni o qualche settimana. Anche per questo si fa il richiamo (tranne che per Jonhson & Johnson che è monodose, ovviamente) ed è importante completare il ciclo rispettando i tempi previsti per i vari prodotti».

Chi si infetta dopo aver ricevuto la prima dose deve ricevere la seconda?

«Nelle persone con infezione da SARS-CoV-2 confermata da un test molecolare o antigenico dopo la prima dose di vaccino, l’infezione stessa rappresenta un potente stimolo per il sistema immunitario che si somma a quello fornito dalla prima dose — spiega Demicheli —. Alla luce di questo e del fatto che l’infezione naturale conferisce una risposta immunitaria specifica per il virus, non è indicato somministrare a queste persone la seconda dose vaccinale». Se e quando, in futuro, i dati sulla durata della protezione immunitaria indicheranno che sarà necessario per tutti fare uno o più richiami anti Covid-19, la vaccinazione parziale e la successiva infezione non precludono questa possibilità.

Su cosa si fonda questa decisione?

«Pur non disponendo ancora di studi su questo aspetto specifico, in base alle attuali conoscenze sull’immunità naturale nei confronti della malattia, si presume che un’infezione successiva alla prima dose agisca come richiamo rendendo inutile il completamento del ciclo — dice l’esperto —. Le nostre competenze continuano a migliorare con il passare del tempo e con la raccolta dei dati su ampi numeri di persone. Ad oggi sappiamo che l’immunità naturale data dalla malattia, quella che deriva a chi fa Covid-19, è buona».
La stessa Aifa diceva, fino a poche settimane fa, che le persone infettate dopo la prima dose potevano comunque essere vaccinate. Perché?
«Raccogliamo e studiamo informazioni e in base a ciò che abbiamo prendiamo decisioni, che (come è già accaduto) possono cambiare se scopriamo cose nuove. Trattandosi di una malattia che non conosciamo è inevitabile procedere passo dopo passo e dover, a volte, tornare indietro o cambiare strada».

Ovviamente la prudenza è d’obbligo: quali sono i possibili rischi per le persone?

« In base alle informazioni raccolte negli ultimi mesi, si è cambiato orientamento più per l’inutilità della seconda dose che per una sua pericolosità — chiarisce Demicheli —. Non si temono “reazioni eccessive” o effetti collaterali pericolosi sommando due dosi di vaccino all’infezione vera e propria (peraltro spesso asintomatica o con ben pochi sintomi), ma si è comunque deciso di saltare il richiamo per minimizzare il rischio ed evitare interferenze tra le risposte immunitarie. Richiamo che peraltro appare superfluo, perché una dose e la malattia danno già una protezione sufficiente».

Fino a quando dura l’immunità?

«Questo ancora non lo sappiamo, come non lo sappiamo per chi si vaccina — dice Demicheli —. Abbiamo per ora supposto sei mesi, ma potrebbe essere per un anno o per sempre. Sono cose che speriamo di capire entro quest’estate in modo da poter decidere e programmare un’eventuale campagna di richiami, naturalmente dopo aver finito di vaccinare tutta la popolazione».

Può aver senso, prima di fare la seconda dose di vaccino, sottoporsi al test sierologico per la ricerca degli anticorpi (IgG o IgM) e misurare la propria risposta immunitaria?

«No, purtroppo non esiste la possibilità, al momento, di stabilire con esattezza attraverso test sierologici lo stato di protezione di una persona e, quindi, questi esami non hanno alcuna utilità per decidere la condotta vaccinale — risponde l’esperto —. Occorre piuttosto fare attenzione che la diagnosi di infezione sia stata confermata da test molecolari o antigenici di terza generazione perché bisogna essere ragionevolmente certi che l’infezione sia realmente avvenuta».

Con chi parlare in caso di dubbi?

«Come per ogni altro problema in materia di vaccinale — conclude Demicheli —, il primo riferimento è rappresentato dai servizi vaccinale delle ASL dove operano professionisti esperti. In ogni regione esistono, poi, centri di riferimento specialistici cui vengono indirizzate le persone che presentano particolari problemi».
Fonte: Corriere della Sera

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