Molti test in commercio non sono scientificamente attendibili e spingono a rinunciare senza ragione ad alcuni alimenti con il rischio di andare incontro a carenze.
L’intolleranza al glutine e quella al lattosio hanno meccanismi ben noti, ma esistono anche intolleranze possibili su basi biologiche per le quali però non esistono test diagnostici specifici e di cui sono ignote le cause, che vanno da alterazioni enzimatiche a condizioni individuali che modificano la capacità digestiva. I sintomi sono spesso sfumati e solo gastrointestinali, ma se si sospetta di non tollerare un alimento è sempre necessario chiedere consiglio al medico.

Diagnosi illusoria

Gli italiani «intolleranti immaginari», che seguono una dieta di esclusione senza un reale disturbo da cibo o si convincono di non dimagrire perché non tollerano il grano, il lievito o il pomodoro, sono circa otto milioni e ogni anno si sottopongono ad almeno tre milioni di test come biorisonanza o esame del capello, che crescono al ritmo del 10 per cento l’anno e comportano una spesa complessiva superiore ai 300 milioni di euro. I test non validati per le allergie e le intolleranze alimentari risultano positivi nove volte su dieci e danno l’illusione di una diagnosi, ma in realtà non hanno attendibilità diagnostica e possono spingere a diete di esclusione squilibrate e potenzialmente molto dannose: è stato calcolato, per esempio, che ogni quindici persone che eliminano latte e simili perché si auto-diagnosticano un’intolleranza al lattosio, non di rado inesistente, si registrano un iperteso e un diabetico in più perché i nutrienti presenti in questi alimenti proteggono dalla pressione alta e dalla resistenza all’insulina.

I rischi

«Le diete di esclusione sulla base di test non verificati fanno più danni dei sintomi della sospetta intolleranza», conferma l’allergologo Siaaic Mario Di Gioacchino. «Purtroppo solo per il lattosio abbiamo un esame certo, negli altri casi di difficoltà digestive la diagnosi è clinica ma deve essere guidata sempre da un medico esperto: l’errore tipico è la diagnosi fai da te, incolpando un cibo quasi a caso dopo che si è avuto un fastidio gastrointestinale».

Protocollo

I disturbi che compaiono dopo aver mangiato sono abbastanza comuni, così la gente si convince che qualche specifico alimento ne sia responsabile senza rendersi conto che, se l’apparato digerente non funziona bene per qualsiasi motivo, si possono avere sintomi anche a prescindere da ciò che si mangia. «Il cardine per la diagnosi è la ripetitività del disturbo, nel caso delle ipersensibilità ad additivi, al nichel o ad alimenti vari», specifica Di Gioacchino. «Se i sintomi si ripresentano sempre dopo il consumo di un certo prodotto il sospetto è elevato, ma anche così serve rivolgersi al medico per un iter diagnostico corretto e senza rischi: la dieta di esclusione in cui per due, tre settimane si mangiano soltanto pochi cibi va gestita con attenzione per evitare carenze nutrizionali. Il protocollo poi prevede ogni tre o quattro giorni la reintroduzione di alimenti o gruppi di alimenti monitorando gli effetti: solo così si possono diagnosticare intolleranze diverse dal lattosio e dal glutine, per cui non abbiamo test specifici».

Fonte: Corriere della Sera