Biodiversità è sinonimo di ecosistemi che funzionano, e quindi di servizi ecosistemici: dalla qualità dell’aria e delle acque, alla prevenzione di pandemie, alla produttività economica. Il 2020 ha segnato il termine della decade della biodiversità, il piano strategico globale della Convention on Biological Diversity delle Nazioni Unite, articolato in cinque traguardi e 20 target, mirati a una riduzione dell’impatto antropico sulla natura da raggiungere entro il 2020: di questi, solo dieci sono stati parzialmente raggiunti e la situazione è statica o addirittura peggiorata per molti aspetti riguardanti la biodiversità.
La Strategia europea per la biodiversità per il 2030 ha come obiettivo assicurare una ripresa della biodiversità in tutti gli stati membri, agendo sui molti fronti aperti, dall’estensione e l’effettiva tutela delle aree protette alla scelta di strategie agricole sostenibili, dal ripristino del suolo alla gestione delle specie aliene invasive.

Il 2020 ha segnato il termine della decade della biodiversità, il piano strategico globale della Convention on Biological Diversity (CBD) delle Nazioni Unite, articolato in cinque traguardi e 20 target, gli Aichi target, mirati a una riduzione dell’impatto antropico sulla natura da raggiungere entro il 2020. Il report Global Outlook on Biodiversity 5 mostra chiaramente che, su 20 target, solo in dieci casi c’è stato un parziale raggiungimento degli obiettivi, mai completamente raggiunti. E la situazione è statica o addirittura peggiorata per molti aspetti riguardanti la biodiversità: la prevenzione e la riduzione del tasso di perdita di habitat naturali e della frammentazione (target 5), la conservazione delle specie a rischio di estinzione (target 12), l’incentivazione di buone pratiche produttive che non danneggino la biodiversità (target 3), l’utilizzo sostenibile delle risorse (target 4), la riduzione del tasso di prelievo degli stock ittici (target 6), la salvaguardia e la restaurazione degli habitat che forniscono servizi ecosistemici essenziali (target 14).

Biodiversità è infatti sinonimo di ecosistemi che funzionano, e quindi di servizi ecosistemici: dalla qualità dell’aria e delle acque, alla prevenzione di pandemie, alla produttività economica. Molti degli Aichi target trovano un riscontro anche nell’Agenda per lo sviluppo sostenibile dell’ONU e non ci può essere uno sviluppo sostenibile senza mettere al primo piano la tutela della biodiversità. Una review pubblicata nel 2019 su Science dimostra chiaramente che, dal 1970 a oggi, 14 su 18 servizi ecosistemici sono in netto declino, e la perdita di biodiversità è uno dei fattori chiave.

Il declino di specie e habitat

Il rapporto sullo stato della natura in Europa mostra un costante declino delle specie e habitat protetti. Le cause principali sono l’agricoltura intensiva, l’urbanizzazione, le attività forestali non sostenibili, lo sfruttamento eccessivo degli animali attraverso la pesca illegale e la caccia e la pesca insostenibili oltre a l’inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo. Solo la metà delle specie di uccelli europee (migratori e stanziali) ha un trend positivo. Sono particolarmente minacciate le specie marine e quelle legate agli ambienti agricoli. Complessivamente, la valutazione dello status dell’andamento delle specie in Direttiva habitat mostra che solo il 14% degli habitat e il 27% delle specie animali e vegetali ha uno stato di conservazione soddisfacente. Va bene per le superfici boschive, con un aumento della superficie forestale costante negli ultimi 25 anni, come riportato da Forest Europe, la conferenza ministeriale sulla protezione delle foreste. Sono invece molto compromessi le praterie, i corsi d’acqua interni e il mare. Il report sull’andamento della strategia marina europea mostra infatti come a livello europeo la biodiversità degli ecosistemi marini si presenta ancora vulnerabile nei mari d’Europa e il buono stato degli habitat e delle specie non è assicurato. Inoltre, lo studio degli habitat marini resta ampiamente sotto rappresentato, lo stato di conservazione del 26% degli habitat marini è sconosciuto, mentre per gli habitat terrestri la percentuale è del 4%.

Secondo l’Annuario dei dati ambientali 2019 in Italia il 48% delle specie di pesci d’acqua dolce e il 36% degli anfibi sono minacciati. Sono minacciati nella nostra penisola anche il 23% delle specie di mammiferi il 30% degli uccelli e il 19% dei rettili. In generale, il 52% delle 570 specie di fauna italiana protette dalla Direttiva Habitat mostra uno stato di conservazione inadeguato o sfavorevole.

In particolare sono minacciate le specie ornitiche legate agli ambienti agricoli: come mostra il Farmland bird index, il trend della biodiversità di queste specie è in costante diminuzione, con un declino molto marcato per le zone planiziali. Ciò è direttamente connesso all’agricoltura intensiva (sia essa tradizionale o biologica) e alla mancanza di elementi per la diversificazione del paesaggio agricolo. Meno della metà (il 43% per la precisione) dei 7.493 corsi d’acqua dolce ha uno stato ecologico buono o elevato. Attualmente sono presenti 3182 specie aliene sul nostro territorio, e la lista include specie invasive che compromettono la tutela delle specie autoctone, nonché danni alle attività produttive. Anche il consumo di suolo nelle ultime decadi è aumentato significativamente, con una percentuale attuale attorno all’8%, con picchi nelle zone costiere (più del 50% delle coste è compromessa). Il 10% della superficie italiana è urbanizzato. La funzionalità ecologica del suolo è compromessa: il 43% del suolo italiano ha una vulnerabilità media alla desertificazione. L’Italia è un Paese con molti ecosistemi a rischio, anche perché la copertura degli ecosistemi naturali e seminaturali interessa solo circa il 46% della superficie nazionale. Il sistema agricolo intensivo e tradizionale e le aree artificiali superano il 50%. Come illustrato dal rapporto sul Capitale naturale, la degradazione degli habitat in Italia è associata a una diminuzione dei servizi ecosistemici che possono fornire, con relativi danni economici e disastri ecologici che richiedono grossi investimenti per il ripristino.

Per quanto riguarda l’estensione delle aree sottoposte a regime di tutela, oggi sono 843 le aree protette terrestri, e coprono il 10,5% del territorio nazionale, mentre i siti della rete natura 2000 sono il 19,5%.

La strategia Europea per la biodiversità 2030 e l’Italia

La nuova strategia europea per la biodiversità per il 2030 parte dal presupposto che la natura ci è indispensabile e la tutela della biodiversità ha giustificazioni economiche ineludibili. È pertanto essenziale invertire la rotta nel prossimo decennio. Considerato lo stato critico della biodiversità su scala mondiale e europea, l’Europa si pone l’obiettivo ambizioso di fare da capofila globale per il ripristino e la tutela degli ecosistemi, pertanto l’obiettivo è assicurare una ripresa della biodiversità in tutti gli stati membri entro il 2030.

Il primo obiettivo è quello di potenziare la rete delle aree protette, arrivando a una copertura del 30% della superficie (sia terrestre che marina) tutelata entro il 2030. In Italia la copertura attuale è del 10,5% e va quindi incrementata come indicato dalle linee guida europee. Ma come evidenzia la stessa strategia europea per la biodiversità, il problema non è solo l’istituzione di nuove aree protette, ma la tutela effettiva. L’UE e l’Italia dispongono di quadri giuridici per la tutela di habitat e specie, eppure, come indicato dagli ultimi report, l’attuazione effettiva è alquanto lacunosa e resta spesso solo su carta. Vanno invece assicurati i necessari investimenti per una gestione efficace delle aree protette e per sottoporre habitat e specie a un adeguato monitoraggio, costante e stabile nel tempo. Questo sia attraverso risorse economiche che attraverso il reclutamento pubblico del personale necessario per la messa in opera delle azioni.

Gli habitat particolarmente a rischio dovrebbero essere sottoposti a una protezione rigorosa. Attualmente la percentuale delle aree sottoposte a protezione rigorosa è del 3% per gli ecosistemi terrestri e meno dell’1% per quelli marini, e per entrambi l’impegno è arrivare per il 2030 al 10%. Particolare attenzione va data alle foreste primarie, alcune delle quali sono presenti sul territorio italiano. Va inoltre promossa la connettività degli habitat, attraverso la creazione di corridoi ecologici che permettano il superamento delle barriere create dalle infrastrutture antropiche (strade, ferrovie, centri urbani) con investimenti effettivi nelle infrastrutture verdi e blu (per esempio, la creazione di sovrappassi verdi). Entro il 2023 gli Stati Membri hanno obbligo di dimostrare di aver compiuto progressi significativi per la designazione di nuove aree protette e di corridoi ecologici.

Il quadro giuridico nazionale e europeo va rafforzato per garantire il superamento di lacune attuative e regolamentari vistose: per esempio, gli Stati membri non hanno l’obbligo di avere piani di ripristino; non sempre esistono obiettivi e tempi chiari o vincolanti, né definizioni o criteri sul ripristino o sull’uso sostenibile degli ecosistemi; manca anche l’obbligo di mappare, monitorare o valutare in modo esauriente i servizi ecosistemici, il loro stato di salute o gli sforzi di ripristino. La Commissione si prefigge l’obiettivo di imporre agli Stati Membri di innalzare il livello di attuazione della legislazione vigente. In particolare, gli Stati membri dovranno assicurare che, entro il 2030, almeno il 30% delle specie e degli habitat il cui attuale stato di conservazione non è soddisfacente lo diventi o mostri una netta tendenza positiva. Per quanto riguarda le direttive Uccelli e Habitat, la strategia punta in particolare a che siano garantiti il completamento della rete Natura 2000, la gestione efficace di tutti i siti, il rispetto delle disposizioni sulla protezione delle specie e di quelle sulle specie e sugli habitat che mostrano tendenze alla diminuzione.

La strategia Dal produttore al consumatore

Una delle principali minacce per la biodiversità è dato dall’agricoltura intensiva, come mostrato dagli andamenti negativi delle popolazioni e della biodiversità sia degli impollinatori che degli uccelli (il farmland bird index ha proprio lo scopo di valutare la biodiversità negli agroecosistemi). L’obiettivo è quindi una transizione verso pratiche agricole completamente sostenibili, che non solo riducano l’utilizzo di sostanze chimiche dannose (una riduzione del 50% entro il 2030), ma tengano conto della necessità di diversificazione del paesaggio agricolo, attraverso il ripristino di elementi marginali, seminaturali, quali siepi, filari di alberi, piccole pozze, e muretti a secco. Precisamente entro il 2030 almeno il 10% delle superfici agricole deve assicurare la presenza di elementi caratteristici del paesaggio ad elevata biodiversità e almeno il 25% dei terreni agricoli deve essere convertito alla produzione biologica.

La strategia da incentivare si chiama “Dal produttore al consumatore” e sarà in sinergia con la nuova politica agricola comune (PAC), anche attraverso la promozione di regimi ecologici e regimi di pagamento basati sui risultati. La PAC dovrà quindi strutturarsi con solidi criteri climatici e ambientali sulla base dei quali effettuare le valutazioni. La strategia “Dal produttore al consumatore” intende favorire lo sviluppo di pratiche sostenibili quali l’agricoltura di precisione, l’agricoltura biologica, l’agroecologia, l’agrosilvicoltura, il prato permanente a bassa intensità e norme più rigorose in materia di benessere degli animali. Indicatori importanti saranno appunto la biodiversità degli insetti impollinatori e degli uccelli. Inoltre va limitata l’erosione della variabilità genetica incentivando colture e allevamenti di varietà antiche e tradizionali.

Suolo e foreste

Coerentemente con queste politiche c’è l’obiettivo importante di proteggere e ripristinare i suoli, ecosistemi essenziali che costituiscono una risorsa non rinnovabile da cui dipende non solo la produzione degli alimenti, ma anche la tutela da dissesto idrogeologico. Limitare l’erosione del suolo è quindi fondamentale e va fatto favorendo la biodiversità floristica.

In tal senso le foreste vanno rese più resilienti a incendi e desertificazione, attraverso non solo un aumento dell’estensione delle superfici, ma anche e soprattutto garantendo la biodiversità delle specie presenti. L’incremento prefissato per il 2030 è di 3 miliardi di alberi supplementari in Europa e la formazione di un sistema d’informazione forestale europeo. Anche gli spazi verdi nelle città dovranno essere incrementati.

Ecosistemi acquatici e specie invasive

Gli ecosistemi marini sono estremamente compromessi e minacciati da un sovrasfruttamento delle risorse. Nel Mar Mediterraneo, almeno l’87% dei pesci e dei molluschi sfruttati a fini commerciali è sovrasfruttato e ci sono esempi di comunità marine la cui abbondanza non è sufficiente a mantenerne la piena capacità produttiva, come si osserva per molti stock di pesci e molluschi commerciali. Quindi, oltre al potenziamento dell’estensione delle aree marine protette e della istituzione di aree marine sottoposte a regime di tutela rigoroso, è essenziale applicare con rigore il contrasto alle attività di pesca illecite e lo sviluppo e la messa in atto di un piano d’azione per uno sfruttamento sostenibile delle risorse. Questo comprenderà limitazione a metodi e strumenti per la pesca che sono più pericolosi per la biodiversità, anche con l’obiettivo di eliminare le catture accessorie di specie in via di estinzione, un problema che interessa diverse specie di uccelli marini nidificanti in Italia, oltre che di cetacei.

Tra gli ecosistemi maggiormente compromessi spiccano i corsi d’acqua interni. La funzionalità dei fiumi europei (Italia inclusa) è fortemente limitata dal barriere antropiche che ne limitano la connettività per le i pesci e il flusso dei sedimenti. Entro il 2030 l’Europa ha l’obiettivo di ristabilire lo scorrimento libero di almeno 25 000 chilometri di fiumi. Ma entro il 2027 ogni Stato membro deve garantire un buono stato o un buon potenziale ecologico di tutte le acque superficiali e un buono stato di tutte le acque sotterranee, attraverso la riesamina dei processi di estrazione e arginamento e il ripristino di fiumi e pianure alluvionali.

Altro tema importante è la gestione delle specie aliene invasive: anche in questo caso l’UE si è dotata di strumenti legislativi, ratificati in Italia, ma resta lacunosa l’attuazione delle strategie di contrasto al fenomeno. L’obiettivo è un contrasto efficace all’immissione delle specie e azioni concrete di gestione delle specie esotiche insediate per dimezzare il numero di specie autoctone attualmente minacciate dalla loro presenza. Il che garantisce inoltre la riduzione dei danni economici ingenti arrecati dalle specie aliene invasive.

Integrare le biodiversità nei processi decisionali

La Commissione introdurrà nel 2021 un nuovo quadro europeo per la governance della biodiversità che mapperà obblighi, obiettivi e impegni in modo di garantire l’attuazione della strategia. Verranno rafforzati gli strumenti di verifica degli effetti dei finanziamenti per la biodiversità. La strategia punta all’investimento di almeno 20 miliardi all’anno da destinare alla natura e biodiversità, che include una iniziativa ad hoc nell’ambito di InvestEU. La dimensione della biodiversità va quindi integrata nei processi decisionali pubblici e privati. Non esiste strategia per la mitigazione dei cambiamenti climatici che possa essere efficace senza una effettiva tutela della biodiversità.

Infine, anche le politiche alimentari devono tenere conto degli effetti delle importazioni di prodotti sulla biodiversità a scala globale. La strategia europea per la biodiversità 2030 infatti va oltre le sole misure all’interno del proprio territorio, comprendendo che investimenti in beni che comportano perdita di biodiversità in altre regioni del mondo non vanno nella direzione della diminuzione dell’impatto antropico e delle conseguenze che comporta.

 

Fonte: Scienza in Rete

LEGGI TUTTE LE ALTRE NEWS