La natura non smette di sorprenderci. E ancora una volta oggi lo fa fornendoci una prova di un evento, e di un particolare periodo storico. Quello dell’era atomica e dei test nucleari svolti negli Stati Uniti e in altri paesi negli anni ’50 e ’60. Uno studio condotto da geologi statunitensi rivela infatti che il miele prodotto oggi contiene ancora il cesio-137, un isotopo radioattivo del cesio, residuo delle esplosioni di allora. Il risultato non desta però preoccupazioni, dato che ben al di sotto della soglia di allerta segnalata dalle autorità.

La chiave di lettura, invece, è un’altra. La ricerca, svolta dall’università William & Mari a Williamsburg, in Virginia, fornisce una prova diretta della permanenza dell’elemento nell’ambiente, scambiato fra fauna e flora. Le ragioni sono da rintracciare nel fatto che l’isotopo radioattivo si mimetizza bene e viene confuso con il potassio da molte piante, che dunque continuano a assorbirlo. E il ciclo prosegue. I risultati sono pubblicati su Nature Communications.

L’era atomica

Dopo i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki alla fine della Seconda guerra mondiale, seguì un periodo in cui la tecnologia nucleare fu sfruttata per vari esperimenti e test. In particolare, negli anni ’50 e ’60 gli Usa, l’ex Unione Sovietica e altri stati condussero questi esperimenti. Nel 1963 per Stati Uniti, Urss e Regno Unito quest’epoca si concluse con il “Partial Test Ban Treaty”, che vietò i test terrestri e subacquei (ma non ancora quelli sotterranei). Le esplosioni avvennero nel Nevada e nel Nuovo Messico, negli Usa, nelle isole Marshall e nell’arcipelago russo Novaja Zemlja. In questo periodo gli esperimenti causarono il rilascio del radiocesio nella parte alta dell’atmosfera, disperso e diffuso in zone anche molto lontane dal vento. Il suo spargimento non fu uniforme: i residui si accumularono maggiormente sulla costa orientale degli Usa, a causa della direzione e delle caratteristiche dei venti e delle piogge.

Radiocesio o potassio?

Il radiocesio è solubile in acqua ed è simile al potassio nella sua struttura. Tanto che alcune piante quando sono a secco di potassio possono assorbire il cesio-137. Questa informazione era già nota ma quello che non si sapeva è se oggi questo fenomeno avviene ancora, ricordando che la vita di questo isotopo è lunga. Sappiamo che il tempo di dimezzamento del cesio-137, ovvero il tempo in cui una certa quantità di radioisotopo si dimezza, è pari infatti a 30 anni.

Miele, fonte di sorprese

Gli autori hanno pensato pertanto di raccogliere campioni di alcuni vegetali e prodotti alimentari a Raileigh, capitale dello Stato della Carolina del Nord, che si affaccia sulla costa orientale. Uno studente che ha preso parte al lavoro coordinato dal geologo James Kaste ha riportato indietro del miele. Con sorpresa del supervisore, questo miele conteneva radiocesio in quantità 100 volte superiori rispetto a quelle in altri alimenti. In una successiva raccolta di 122 campioni di miele da vari stati della costa orientale, ben 68 contenevano cesio-137 a livelli più alti. Le api elaborano il miele a partire dal nettare del fiore (ma non solo da lì), dunque dalle piante evidentemente ricche di radiocesio.

Ma non ci sono pericoli

Ma questo non vuol dire che ci sia qualche pericolo, sottolinea Kaste, che racconta in un articolo di consumare più miele di prima. I livelli sono infatti ben al di sotto della soglia di allarme, pari a 1200 becquerel (unità di misura dell’attività di un radionuclide per chilogrammo) dove il più alto arriva a 19,1 becquerel. Bisogna pensare che anche dopo il disastro di Chernobyl venne rilasciato molto cesio-137, ma la sua presenza nei campioni (anche di miele) fu ritenuta sicura.

Miele, attenzione alle api

La chiave con cui interpretare la ricerca e il ruolo dei risultati è differente. Bisogna sottolineare l’importanza di studiare fenomeni come questo, anche per comprendere l’eventuale impatto sull’ecosistema. Infatti, come spiega il ricercatore Kaste, se è vero che non ci fu alcun lotto di latte o di miele ritirato dal mercato per l’eccesso di cesio-137, per gli insetti e per le api i rischi potrebbero essere più alti. “Quello che rileviamo oggi è una piccola frazione della radiazione presente negli anni ’60 e ’70”, chiarisce l’esperto. “E non possiamo dare per certo che il cesio-137 non abbia nulla a che vedere con il collasso delle colonie di api o con il declino delle loro popolazioni”. Per questo è meglio stare con gli occhi aperti perché le api sono un pilastro della biodiversità su cui si reggono vari ecosistemi.

 

Fonte: Galileo

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