Il sistema Nutriscore, nuovamente sotto i riflettori, potrebbe aiutare i consumatori a prediligere i prodotti della dieta mediterranea – prevalentemente frutta, verdura, cereali, proteine vegetali – e quindi ridurre il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, obesità e tumori. Ne abbiamo parlato con Mauro Serafini, nutrizionista Highly Cited del Gruppo 2003 e professore ordinario di Alimentazione e Nutrizione Umana all’Università di Teramo.

In Italia è recentemente riemersa la discussione sui sistemi di etichettatura alimentare, contrapponendo, in particolare, il Nutriscore (il sistema a cinque colori) al Nutrinform (il sistema “a batteria”). Con uno schieramento sostanzialmente bipartisan, il Nutriscore (non adottato in Italia) viene ancora una volta messo sotto attacco non solo sul piano nutrizionale, ma anche su quello commerciale, perché, dicono i detrattori, avvantaggerebbe la grande distribuzione penalizzando la filiera produttiva italiana.

Contestualmente, circa 400 scienziati ed esperti (il numero è in continuo aggiornamento) hanno firmato un appello a supporto del sistema di etichettatura Nutriscore, auspicandone un’adozione uniforme a livello europeo. Principalmente, nell’appello vengono ricordate sia le basi scientifiche che ne hanno permesso l’elaborazione, sia gli studi che ne hanno poi dimostrato l’efficacia, e quindi anche l’importanza di una comunicazione appropriata per «evitare malintesi».

Nell’elenco dei firmatari si leggono in particolare Silvio Garattini, Walter Ricciardi, Paolo Vineis, Giuseppe Remuzzi. Tra loro anche Mauro Serafini, professore ordinario di Alimentazione e Nutrizione Umana presso la facoltà di bioscienze dell’Università di Teramo, nutrizionista Highly Cited e componente del consiglio direttivo del Gruppo 2003. Lo abbiamo intervistato.

 

Il Nutriscore in breve

Com’era stato già scritto su Scienza in rete, il Nutriscore è stato sviluppato da ricercatori dell’Università di Parigi e dell’Istituto nazionale francese per la ricerca sulla salute e la medicina (INSERM), con lo scopo di aiutare i consumatori ad adottare abitudini alimentari più equilibrate e i produttori a modificare il contenuto nutrizionale degli alimenti. Per altro è la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità che chiede di limitare il cibo ad alto contenuto di grassi, sale e zuccheri, vista la sempre maggiore incidenza di obesità, malattie cardiovascolari, diabete e tumori.

L’attribuzione dei cinque colori – e cinque lettere – agli alimenti viene fatta attraverso un algoritmo che “premia” il contenuto di frutta, verdura, legumi, noci, oli di colza, di noce e d’oliva, fibre, proteine e “penalizza” invece energia, zuccheri, acidi grassi saturi, sodio. Il calcolo viene fatto sui classici 100 grammi o 100 millilitri di prodotto e, va sottolineato, serve per confrontare le stesse categorie di prodotto: i formaggi tra di loro, e non un formaggio con una bevanda, per esempio. In questo modo, il consumatore dovrebbe più facilmente riuscire a scegliere quali alimenti comperare, prediligendo quelli valutati positivamente, piuttosto che quelli valutati negativamente. Ovviamente, limitare il consumo di formaggi e di insaccati, non significa eliminarli definitivamente dalla propria dieta, ma consumarli con parsimonia.

La dieta mediterranea: non solo carne e prosciutto

In Italia, la critica principale rivolta al Nutriscore riguarda il fatto che penalizzerebbe la dieta mediterranea, perché valuterebbe in modo negativo prodotti tradizionali come l’olio d’oliva, il parmigiano o il prosciutto. Eppure, la dieta mediterranea (i cui prodotti hanno origine anche ben al di fuori del solo bacino del Mar Mediterraneo) non è basata sul solo consumo di olio, parmigiano o prosciutto. Nella fattispecie, questi tre alimenti andrebbero consumati proprio nell’ordine in cui sono scritti, privilegiando quindi grassi di origine vegetale, mangiando con moderazione formaggi e limitando ancora di più carni e soprattutto insaccati.

La dieta mediterranea, infatti, è fondata principalmente sul consumo abbondante di frutta, verdura, cereali, e poi sull’olio d’oliva, sulle proteine vegetali, sui derivati del latte a basso contenuto grasso; il consumo di proteine animali è modesto, se non molto limitato nel caso degli insaccati.

 

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La piramide della dieta mediterranea, immagine di Fondazione Veronesi.

Come anche indicato dalla Fondazione Veronesi, a una corretta alimentazione deve essere accompagnato uno stile di vita sano, cioè con attività fisica, rispettando la stagionalità dei prodotti e così via. Com’è noto, inoltre, gli alimenti da consumare più raramente sono anche quelli che hanno un maggiore impatto ambientale, per cui è possibile elaborare il concetto di “sostenibilità nutrizionale”. Come scrivono Mauro Serafini, Daniele Del Rio e Maurizio Battino sul Libro bianco del Gruppo 2003, «la sostenibilità nutrizionale si basa su alcuni cardini quali la preservazione della biodiversità, la sicurezza alimentare, la riduzione degli sprechi, il basso impatto ecologico del cibo e la funzionalità degli alimenti, rafforzando il concetto che la salute dell’uomo non può essere svincolata dalla salute del pianeta». Allo stesso tempo, c’è anche da tenere in considerazione che, secondo ricerche crescenti, l’alimentazione corretta varia da individuo a individuo, e per cui serve anche l’indicazione del nutrizionista oltre che dell’etichetta al supermercato.

Un’ulteriore informazione su quali siano gli alimenti che favoriscono una vita più sana proviene dalle cosiddette blue zone. Cioè, ricordano i tre autori, quelle zone in cui «il tasso di longevità in salute è più alto rispetto alle altre zone del mondo» e che a oggi sono «la Sardegna, nelle aree storiche dell’Ogliastra e della Barbagia, l’isola greca di Ikaria, l’isola giapponese di Okinawa, la penisola di Nicoyain Costarica e Loma Linda, in California, nella comunità cristiana degli Avventisti del settimo giorno».

In queste zone si trova un’alimentazione parca, frugale, semplice, genuina, povera di grassi, di zuccheri e di cibi industriali, caratterizzata da un elevato apporto di cibi di origine vegetale […] e da un moderato consumo di carne bianca o pesce (un paio di volte alla settimana), latte e formaggi per lo più caprini. Inoltre, gli anziani di queste zone sono generalmente molto attivi, con una ricca vita sociale, […] dormono in media più dei loro coetanei di altre zone. Fra tutti i fattori coinvolti, sicuramente l’alimentazione “semi vegetariana” gioca un ruolo fondamentale nel promuovere la longevità e diminuire l’incidenza delle malattie legate all’invecchiamento.

È quindi evidente che non si può incentivare il consumo di carne e salumi, anche se DOP e quindi certamente più pregiati rispetto ad altri prodotti. Questo spiega, fra l’altro, perché alcune associazioni di categoria si sono purtroppo schierate contro il sistema Nutriscore sottolineando come questo penalizzi la dieta Mediterranea, ignorando il fatto che la maggior parte degli alimenti mediterranei ottengono punteggi alti da questa etichettatura. È forse utile ricordare come una situazione simile si sia verificata nel 2015, quando l’Organizzazione Mondiale di Sanità, per mezzo dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, aveva classificato come “probabilmente cancerogena” la carne rossa, e come “sicuramente cancerogeni” gli insaccati e la carne lavorata, causando critiche simili. Questi alimenti, se mangiati in eccesso, aumentano il rischio di sviluppare anche altre patologie oltre ai tumori (colon-retto, stomaco, seno, prostata, endometrio), come diabete, infarto, disturbi cardiovascolari e obesità. Se quindi il Nutriscore ne incentiva un consumo più frugale (senza ovviamente vietarlo o abolirlo), probabilmente potremmo solo trarne vantaggio.

 

Fonte: Scienza in Rete

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