Il ruolo fondamentale della Medicina Integrata

Articolo del 25 Maggio 2021

Una cosa che ho affermato più volte e continuo ad affermare è che il nostro organismo è costituito da un insieme di imperfezioni infinite che lo rendono in realtà perfetto.

Sembra una frase filosofica, ma è esattamente l’argomento centrale di cui bisognerebbe tenere conto parlando di salute.

Le nostre imperfezioni ci proteggono più di ogni altra cosa dagli insulti ambientali. È come se il paradigma darwiniano sulla selezione della specie legata al caso, fosse in ogni momento della nostra vita operante dentro di noi.

Infatti, alcuni lavori di embriogenesi, hanno dimostrato che nelle fasi precoci della differenziazione dell’embrione le cellule sono in lotta fra loro per la pura sopravvivenza. Durante questa fase il genoma è totalmente diverso da quello di un essere adulto; infatti, molti dei geni che nel nostro genoma adulto sono silenziati, durante la vita embrionale sono in realtà pienamente attivi.

La cura delle malattie deve ripartire da un dialogo fra medico e paziente. La cultura del terrore è diventata ormai una strategia per far vivere la gente nella paura di morire ed in mezzo a mille sofferenze.

Bisognerebbe ripartire dal concetto che la Medicina ha lo scopo di curare, non necessariamente di guarire.

Per assurdo il concetto di guarigione diventa paradossale pensando ad un qualsiasi percorso di vita. Si sa che la assoluta normalità non esiste mai, nella vita di nessuno. E guarire dalla vita ho l’impressione che sarebbe impossibile.

Parlando di tumori, a chi mi chiede con occhi pieni di spavento quanto gli rimane da vivere (un cliché da fiction televisiva), io rispondo: non certo in eterno, in piena antitesi con le promesse di immortalità che girano per il web.
La vita ha un inizio e una fine; c’è chi può interpretare ciò come un incoraggiamento a vivere ogni attimo come se fosse l’ultimo e c’è chi si dispera per la consapevolezza del fatto che prima o poi dovrà morire. A me va bene tutto, tuttavia proporrei di cercare di vivere al meglio questa vita. Anche se mi rendo conto che non è certo un compito facile.

Ecco: un medico dovrebbe aiutare ogni essere umano che incontra nella sua professione a prendersi cura di se stesso, mediando con le paure, l’ansia, la difficoltà dei rapporti umani, che sono propri di ogni essere umano.

E nel mio lungo percorso di ricercatore e di medico sono arrivato a questo nuovo o rinnovato punto di partenza, che sancisce il paradigma della Medicina Integrata “ESISTE IL MALATO NON LA MALATTIA”.

Ma detto questo sono più che convinto che anche la Ricerca in Medicina debba fare un passo indietro, e non perdersi dietro all’illusione che definendo geni e molecole di vario tipo si possa-no efficacemente curare le malattie.

Vorrei finire con un pensiero che mi è venuto studiando i processi di fermentazione utilizzati con la Papaya in Giappone.
Il Giappone è una terra particolare non solo perché quando vi arrivi trovi pochissima gente che parla inglese e quindi con una difficoltà estrema a comunicare (Lost in Translation), ma perché hai l’impressione di essere sbarcato su un pianeta lontano dove chi incontri non solo parla e scrive in maniera incomprensibile per te, ma ha un modo di pensare e di vivere la vita total-mente diverso.

Fra le varie cose c’è l’uso della fermentazione. Se vai nei mercati vedi che raramente si trova verdura, ma anche frutta fresca, tutto è immerso in una sorta di liquido che ha fatto perdere i colori originali.

Questo perché sono venduti in un liquido di fermentazione, per il quale usano dei funghi della famiglia degli Aspergillus. Nella loro storia, nel periodo in cui non c’erano i frigoriferi o il ghiaccio, l’unico modo che avevano per conservare i cibi era farli fermentare; loro non avevano il peperoncino, l’olio di oliva, il pepe, il sale e le varie spezie, noi sì.

E qui le differenze fra i cibi della nostra tradizione: nel bacino del mediterraneo si sono sempre usati peperoncino, sale ecc., in Giappone la fermentazione. Alla fine i giapponesi sono il popolo più longevo e noi i secondi, ecco perché forse vale la pena integrare i saperi… no?

 

Fonte: SC Scienza Conoscenza