Quando su telegiornali o giornali si sente parlare di “malori” estivi, specie in montagna, si tratta quasi sempre di colpi di calore. Sono infatti molto più comuni di quanto si pensi e saranno verosimilmente sempre più frequenti negli anni a venire, per gli aumenti delle temperature a cui stiamo già assistendo. Basta una mezz’ora sotto il Sole diretto senza protezioni e senza essere sufficientemente idratati; oppure una giornata di lavoro all’esterno a temperature sopra i 27 gradi – pensiamo per esempio agli autotrasportatori, ai braccianti o ai lavoratori edili – senza aver avuto tempo di fermarsi per bere quanto necessario.

Sono sufficienti aumenti di pochissimi gradi per indurre nell’organismo umano uno stato di malessere del sistema nervoso centrale, con conseguenze fisiche e mentali. Delle prime ormai sappiamo moltissimo, mentre della correlazione fra l’aumento delle temperature e delle ondate di calore e il deterioramento della salute psichica sappiamo un po’ meno. Solo negli ultimi anni la ricerca scientifica ha iniziato a misurare questo impatto, osservando una maggior incidenza di ansia, depressione, irritabilità, insonnia, episodi di violenza, e addirittura suicidi con l’aumento dei periodi caratterizzati da altissime temperature.

Effetti diretti e indiretti

Un lavoro apparso sul “British medical Journal” nel novembre 2021, per esempio, distingue fra effetti diretti e indiretti degli eventi legati al cambio climatico sul benessere mentale. Gli effetti diretti sono legati all’esposizione a temperature molto elevate e vanno dalla sindrome post-traumatica da stress, dall’ansia all’aumento dell’abuso di sostanze, dalla depressione al suicidio. Gli effetti indiretti includono invece perdite economiche, migrazioni forzate, competizione per le scarse risorse e violenza collettiva. A rischio sono soprattutto i giovani, le donne e le persone dallo status socioeconomico basso.

Qualche primo dato già lo abbiamo, ma siamo all’inizio: servono studi e dati solidi per analizzare questo problema globale che è destinato a crescere. In generale non è semplice avere dati solidi sull’impatto di determinati fattori sulla salute mentale. La maggior parte delle ricerche non è – come si dice – longitudinale, cioè non è in grado di paragonare lo stato di salute mentale delle medesime persone prima e dopo un evento. Negli ultimi due anni la pandemia da COVID-19 ha distorto i dati in questo ambito, nel senso che non è così semplice capire se un effetto negativo sia stato indotto da un fattore o da un altro, per esempio dal confinamento forzato.

Come riferisce un articolo pubblicato nel marzo 2020 su “PLOS ONE”, frutto di un lavoro che ha coinvolto tre milioni di americani dal 1993 al 2010, le temperature riferite confortevoli per l’uomo sono comprese tra 15 e 23 °C. Temperature progressivamente più basse riducono la probabilità di percezione soggettiva di difficoltà della propria salute mentale, mentre un aumento dei giorni più caldi a temperature superiori a 27 °C porta a un incremento dei disturbi come ansia, irritabilità, nervosismo, aggressività e insonnia. Ogni giorno in cui la temperatura ha superato i 27 °C è stato associato a un aumento dello 0,3 per cento di probabilità di riferire un disagio mentale.

Ondate di calore e suicidi

Un’analisi pubblicata su “Nature” sempre nel 2020 esaminava la correlazione fra ondate di calore e suicidi, negli Stati Uniti e in Messico.  Utilizzando dati completi per diversi decenni, i ricercatori hanno osservato che i tassi di suicidio erano aumentati dello 0,7 per cento nelle contee degli Stati Uniti e del 2,1 per cento nei comuni messicani che avevano assistito a un aumento di 1 °C della temperatura media mensile. È stato inoltre analizzato il linguaggio dei post sui social media di oltre 600.000 utenti, che ha messo in luce come il benessere psichico si deteriori durante i periodi più caldi. L’articolo stima che il cambiamento climatico assoluto potrebbe comportare un totale di 9000-40.000 suicidi aggiuntivi solo negli Stati Uniti e in Messico entro il 2050, rappresentando un cambiamento nei tassi di suicidio paragonabile all’impatto dei periodi di recessione. In valore assoluto, l’effetto del cambiamento climatico sul tasso di suicidi è stimato essere circa due o quattro volte quello dell’aumento dell’uno per cento del tasso di disoccupazione nell’Unione Europea.

Questi risultati suggeriscono che il meccanismo attraverso il quale la temperatura influenza i tassi di suicidio è probabilmente distinto dagli effetti della temperatura sulle altre cause di mortalità. In contrasto con la mortalità per tutte le cause, il suicidio aumenta a temperature calde e diminuisce a temperature fredde; inoltre, a differenza della mortalità per tutte le cause, l’effetto della temperatura sul suicidio non è diminuito nel tempo e non sembra diminuire con l’aumento del reddito o con la presenza di aria condizionata in casa. La struttura lineare e stabile della risposta al suicidio, quindi, è più simile a quelle osservata nella correlazione tra violenza interpersonale e aumento della temperatura.

Come riconoscere i primi sintomi

Gli episodi acuti di colpo di calore, in cui la persona inizia a stare molto male richiedendo l’intervento dei soccorsi, sono tuttavia la fase finale di un processo più lungo, dove il nostro corpo dà dei sintomi sentinella che devono essere riconosciuti per evitare il peggio.

“Si tratta di manifestazioni cutanee come rash – una area di pelle che appare irritata, gonfia e di colore differente – ma anche crampi ai muscoli, che indicano una sofferenza del sistema nervoso periferico, fino alla sincope e alla sensazione di svenimento e di abbandono, voglia di lasciarsi andare, inedia ed esaurimento”, spiega a “Le Scienze” Cecilia Perin, docente di medicina fisica e riabilitativa all’Università degli Studi di Milano Bicocca.

“Il colpo di calore vero e proprio nella sua fase acuta e potenzialmente mortale si ha quando la temperatura interna supera i 40,5 °C, ma già nelle fasi appena precedenti, dai 39,5 °C si iniziano a presentare i sintomi preoccupanti: sudorazione elevata, sfinimento, polso debole, vertigini, nausea, confusione mentale, cefalea pulsante e accelerazione del battito cardiaco. La pelle è secca e untuosa e iniziano le allucinazioni.”

La temperatura interna dell’organismo si assesta sui 37 °C ed è regolata dall’ipotalamo, il nostro termostato interno. A 40,5 °C saltano i meccanismi di termoregolazione che permettono l’equilibrio fra produzione e dispersione di calore, mettendo in forte sofferenza il cervello, sia le meningi sia il parenchima cerebrale. A questi problemi se ne affiancano altri come insufficienza epatica e renale.

Si può uscire con 30 gradi? Dipende

Questi meccanismi iniziano alle nostre latitudini già a temperature ambientali superiori a 37 °C. L’umidità è infatti nemica della dispersione di calore: questa è la differenza fra i 37 gradi dei Tropici e i nostri. Il  problema è l’impossibilità a queste temperature di uno scambio fra il nostro corpo e l’ambiente, fondamentale per la termoregolazione, operata appunto dall’ipotalamo, che è una struttura del sistema nervoso centrale. Certo, ci sono i condizionatori, ma possono tuttavia essere più nemici che alleati, se la differenza di temperatura fra interno ed esterno è superiore ai 10 °C. “Questo perché la ventilazione artificiale a temperature di 20-25 gradi contribuisce alla secchezza cutanea e inibisce la sudorazione”, conclude Perin. “È evidente che se io passo di colpo da 25 a 40 gradi tutti i meccanismi di surriscaldamento interno accelerano e i meccanismi di sudorazione faticano ad attivarsi. In tali contesti sono sufficienti anche poche centinaia di metri da fare a piedi ad alte temperature perché il corpo dia le prime  avvisaglie di malessere, perché non vi è sufficiente tempo affinché si possa adeguare alla temperatura estrema.”

“Non si tratta tuttavia solo di evitare di uscire a temperature più elevate della nostra interna”, precisa Perin. “Anche andare a camminare a 30 gradi o addirittura a correre, produce lo stesso effetto, perché quando ci muoviamo la nostra temperatura corporea sale. È fondamentale correre ai ripari in questi casi: usare abbigliamento non sintetico ma che lasci traspirare la pelle, bere orientativamente almeno 200 millilitri di acqua ogni mezz’ora o ora, per garantire il reintegro di liquido e dei sali minerali. In ogni caso se si assumono farmaci, specie per il cuore come i betabloccanti è comunque meglio evitare di uscire a temperature così elevate.”

 

Fonte: Le Scienze

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