Tutti abbiamo provato dolore e tutti vorremmo evitarlo. Eppure, la sofferenza fisica ci salva la vita e rende la società meno chiusa ed egoista.

Il dolore è l’esperienza negativa per eccellenza: tutti lo abbiamo provato e tutti vorremmo starne alla larga. Tanto che, se ci venisse offerta la possibilità di liberarcene per sempre, diremmo certamente di sì. A ben guardare, però, non sarebbe la scelta giusta. Il dolore è il segno che qualcosa non va. «Se non ci fosse saremmo continuamente esposti a stimoli nocivi e il corpo ne sarebbe danneggiato fino anche alla morte», spiega Fabrizio Benedetti, professore di neurofisiologia all’Università di Torino, fra i massimi esperti mondiali di dolore ed effetto placebo.

Perché i bambini non temono il dolore? 

«Lo vediamo molto bene nei bambini colpiti da una rarissima condizione, chiamata insensibilità congenita al dolore, in cui alcune mutazioni genetiche compromettono lo sviluppo delle fibre nervose che, passando nel midollo spinale, trasportano le sensazioni dal corpo al cervello. Si tratta di situazioni estreme e drammatiche. Questi bambini si provocano automutilazioni (per esempio, si mangiano le unghie e arrivano alle dita senza neppure accorgersene, ndr) e sono spesso vittime di gravi incidenti o fratture ossee, perché, non essendo frenati dalla paura di farsi male, mettono in atto comportamenti estremamente rischiosi. Vanno continuamente sorvegliati ma spesso non raggiungono l’età adulta, per via degli incidenti ma anche per altri problemi di salute connessi alle mutazioni genetiche di cui sono portatori».

Gli animali soffrono?

Il dolore, insomma, ci salva la vita. Ma, a dispetto della sua importanza per noi umani, non si sa esattamente quando sia com parso nel corso dell’evoluzione, e non è neppure detto che sia presente in tutti gli esseri viventi. «Se chiedessimo a un gruppo di persone se una scimmia prova dolore, il 100% direbbe di sì. Lo stesso accadrebbe con un gatto e probabilmente con tutti gli altri mammiferi. Ma già con i pesci qualcuno inizierebbe a dubitare, mentre con vermi o insetti, la metà delle persone interrogate direbbe probabilmente che non sono in grado di sentire dolore», osserva Benedetti. «Il punto è che la scienza non ha modo di verificarlo». Certo, se un insetto viene attaccato mette in atto reazioni di difesa. «Ma non è detto che si tratti di risposta al dolore», prosegue l’esperto. Potrebbero esserci, insomma, altri meccanismi che non comportano sofferenza e che sono comunque in grado di indurre comportamenti di protezione in caso di pericolo. Se noi umani non provassimo dolore, forse li avremmo conservati e magari potenziati.

Che cos’è la simbolia per il dolore?

Per comprendere meglio questo concetto occorre addentrarsi nei meccanismi che sono alla base della nostra sofferenza. «Il cervello possiede due sistemi del dolore: quello laterale è in grado di riconoscere lo stimolo dolorifico e di capire da quale punto del corpo si origina; quello mediale – che coinvolge anche il sistema limbico (che è alla base di molte emozioni, ndr) – genera invece la sofferenza e dà al dolore la sua connotazione emotiva negativa», continua Benedetti. «Esiste una rara condizione, chiamata asimbolia per il dolore, in cui il sistema mediale è leso o non funziona. Queste persone sono perfettamente in grado di rilevare la presenza di uno stimolo dolorifico e sanno localizzarlo, ma non provano alcuna sofferenza».

Se davvero esistessero animali che non sentono dolore, la loro percezione e la reazione di difesa potrebbero essere generate da un meccanismo analogo, magari affiancato dall’attivazione di altri sensi o da altre abilità. «Una mia paziente affetta da asimbolia per il dolore ha imparato a regolare la temperatura dell’acqua nella vasca, e a evitare che sia troppo calda, in base al rossore che assume la cute quando si immerge», racconta l’esperto. Se non provassimo dolore, quindi, potremmo aver affinato la capacità di osservare il corpo a caccia di segnali premonitori, basandoci di più sulla vista, sull’olfatto e su altre sensibilità tattili. Sarebbero però sistemi meno diretti e meno efficienti rispetto alla sofferenza, che arriva dritta al cervello e determina una reazione di difesa immediata.

La sofferenza degli altri

Ma l’asimbolia per il dolore ha anche un’altra interessante caratteristica: determina infatti l’assenza quasi totale di stress e ansia in chi ne è affetto. Un paio di anni fa, il New Yorker ha raccontato la storia di Jo Cameron, una donna con questa condizione, che ricorda di essere stata in ansia una sola volta nella sua vita: quando ha visto suo figlio ferito in modo grave dopo essere stato coinvolto in una rissa. «Questi casi ci dicono molto anche sugli stretti legami che ci sono fra la sofferenza fisica e quella psicologica», commenta Benedetti. «Se non provassimo dolore fisico saremmo meno ansiosi e stressati, e tuttavia anche le altre reazioni emotive sarebbero attutite». Proprio per questo motivo, saremmo anche meno disposti ad aiutare gli altri. «Quando si vede una persona che soffre si attivano le stesse aree del sistema limbico che generano il nostro dolore fisico», spiega Benedetti.

È il meccanismo che sta alla base dell’empatia e che fa scattare il desiderio di dare aiuto. In sua assenza, la società sarebbe più individualista e meno solidale.

Il dolore che non serve

Esiste tuttavia anche un dolore che non serve a nulla e del quale potremmo tranquillamente disfarci e vivere più sereni. È il dolore cronico, che può essere associato a malattie come le artrosi, ma che a volte non è neppure legato a un danno ai tessuti – come avviene per esempio nelle cefalee –, oppure si innesca in seguito a malattie o a incidenti, ma non si risolve ad avvenuta guarigione. Si stima che il dolore cronico colpisca due italiani su 10, che spesso non trovano una risposta adeguata nella medicina, perché i comuni antidolorifici non sempre funzionano.

La scienza lavora per approfondire i meccanismi che sono alla base di queste condizioni – e che non sono ancora del tutto chiari – e per trovare soluzioni efficaci. E in qualche caso ha avuto successo, come è accaduto con i farmaci triptani che, introdotti negli anni Novanta, hanno cambiato la vita a milioni di persone che soffrono di emicrania (ma non funzionano per tutti). Per altre forme di dolore cronico invece gli studi sono ancora in corso, mentre alcune condizioni restano enigmatiche. Fra queste, la fibromialgia, malattia debilitante riconosciuta solo in anni recenti, che determina forti dolori muscolari la cui origine è del tutto sconosciuta.

 

Fonte: Focus

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