L’asse cervello-intestino e l’ipersensibilità viscerale: cerchiamo quel nesso tra le nostre manifestazioni somatiche e le nostre emozioni.

Succede che se incontriamo un uomo o una donna che ci piace potremmo sentire il battito del cuore che, comunque, batte anche quando non lo avvertiamo. Succede anche che in alcune circostanze potremmo arrossire come risultato della dilatazione delle arterie sottocutanee del volto. E succede, ancora, che se andiamo a vedere un film, è possibile che una scena possa procurarci la pelle d’oca, effetto della contemporanea contrazione di tutti i muscoli presenti alla base dei peli.

E potrei continuare ricordando come per indicare uno che ha paura si dice che è uno che se la fa addosso o che una sorpresa ci lascia senza fiato. Tutte queste sono manifestazioni somatiche indotte, guidate e controllate dalle nostre emozioni. Infatti, se provassimo a far dilatare i vasi sottocutanei per arrossire o a far battere più forte il cuore con la volontà, non ci riusciremo mai.

Questo significa che noi siamo governati dalle nostre emozioni almeno quanto crediamo di esserlo dalla nostra razionalità. Emozioni che ci caratterizzano e non mentono, emozioni che svelano i nostri piaceri e le nostre frustrazioni, siano esse consce o nascoste. In pratica tutta la nostra storia.

In questo quadro psicosomatico si inserisce quella che viene chiamata sindrome del colon irritabile o meglio dell’intestino irritabile che è quell’insieme di sintomi attribuibili all’apparato digerente come dolore e gonfiore addominale, stipsi, diarrea, dispepsia, digestione lenta, reflusso e così via.

Tutti questi sintomi sono gli allarmi che il nostro corpo utilizza per comunicare una disfunzione o una malattia che va ricercata con opportuni percorsi diagnostici, esami clinici e strumentali. Succede che, in tanti casi, malgrado una attenta analisi dei vari organi e apparati potenzialmente responsabili di tali sintomi, non si trovano alterazioni tali da giustificare il malessere lamentato dal paziente. In questo caso si fa spesso diagnosi di intestino irritabile che fa riferimento ad una condizione di ipersensibilità viscerale, una condizione che fa in modo che la coscienza avverta tutto il lavoro che fa l’apparato digerente che, di norma, lo fa in modo silente.

E questa ipersensibilità è in qualche modo collegata anche alla sensibilità dell’individuo. Tant’è che recentemente, nella sua ultima definizione, la sindrome dell’intestino irritabile viene indicata come alterazione dell’asse intestino-cervello. Attenzione, non confondiamolo con il concetto di intestino come secondo cervello, no, questo è un argomento diverso.

Quando si parla di asse intestino-cervello si fa riferimento ad una via che unisce con ormoni e neuroni l’attività del cervello e quella dell’intestino in modo bidirezionale. Se è esperienza di molti che uno stress si può manifestare con sintomi intestinali è vero anche che disturbi dell’apparato digerente condizionano le attività cerebrali. Ma in alcuni più che in altri.

In una rubrica che si occupa della cultura del benessere è importantissimo prendere coscienza e consapevolezza che molti dei nostri sintomi possono essere espressione visibile e tangibile del nostro modo di confrontarci con le cose del mondo. Questo aspetto non è separato completamente da aspetti patologici. Infatti nella sindrome dell’intestino irritabile è possibile rilevare una infiammazione di basso grado che da sola, però, non può essere considerata l’unica causa di tutti questi sintomi, ma che non è detto che non sia essa stessa conseguenza di una rottura dell’equilibrio emotivo.

Questo asse intestino-cervello (e anche ovviamente asse cervello-cuore, cervello-cute, cervello-polmoni e così via), ha una grande importanza perché ci caratterizza come unicità e dobbiamo essere consapevoli che non siamo solo carne e ossa. Eppure quando si parla di questi argomenti con i pazienti si trova sempre tanta difficoltà ad affrontare questi discorsi perché esiste una grande resistenza nei confronti di qualcosa che non possiamo controllare.

Molti pensano, la maggioranza direi, che dobbiamo essere a tutti i costi padroni dei nostri sentimenti e delle nostre emozioni e che cedervi è segno di debolezza. Ma debolezza è opporvisi. Dovremmo essere contenti di poterle avvertire e viverle in modo sereno. Perché se ci opponiamo alla evidenza, tutti i problemi e i nostri desideri inconsci non verranno mai alla luce e continueranno ad agire sotto traccia manifestandosi nelle maniere più multiformi.

Come ho già detto, sicuramente esistono delle cause organiche che rendono possibile queste manifestazioni e forse tante altre che ancora non conosciamo, ma il rapporto tra i nostri sentimenti, specie quelli che non avvertiamo fino alla coscienza, e alcune manifestazioni somatiche sono assolutamente incontrovertibili. Non si capisce come mai se uno ha dei calcoli alla colecisti o problemi di mal di testa, di pressione alta o di ulcera non ha alcuna difficoltà a raccontarli e a curarli mentre avvertire un disagio legato ha problemi apparentemente intangibili ci mette in grande difficoltà.

Non siamo un contenitore di frattaglie, ma siamo un tutt’uno col nostro cervello. Quel grande computer che oltre a governare tutte le nostre attività, conserva tutta la storia della nostra vita e anche, più nascosto, quell’istinto animale o, almeno, quel che ne resta. Molto trascurate, tracce di quell’istinto che ci fanno attaccare, fuggire, sottometterci, prevalere, curare i cuccioli o una persona in difficoltà, da qualche parte devono pur essere conservate.

Senza entrare nel dettaglio delle varie definizioni etologiche o psicanalitiche, è indubbio che nell’uomo le reazioni istintive sono state modificate dalla coscienza e da fattori sociali e culturali.

Quanto paghiamo questo distacco? È interessante notare che sintomi somatici di un disagio sono stati descritti anche negli animali come l’alopecia psicogena e la cistite idiopatica dei gatti, l’auto-strigliatura, la bulimia, la potomania e comportamenti autolesionistici in alcuni animali selvatici tenuti in cattività come lo strapparsi i peli dalla coda o l’ondeggiamento degli elefanti trattenuti con una catena a una zampa. Zooconosi è il termine coniato per questo fenomeno ma sono tanti gli studi in merito come quelli di Georgia J. Mason, biologa comportamentale che studia il comportamento degli animali in cattività, uno dei quali è Differenze di specie nelle risposte alla cattività: stress, benessere e metodo comparativo.

E allora? Non sarà che anche noi siamo degli animali selvatici tenuti in cattività dalle necessità sociali, culturali, religiose o pregiudiziali? E tutte le manifestazioni psicosomatiche non saranno espressioni della ribellione a questo stato? Ma dovremmo chiederci anche, saremmo poi capaci di vivere in un ambiente selvaggio? Forse no, proprio come succede agli animali.

Allora, non ci vergogniamo delle manifestazioni somatiche delle nostre emozioni, siano esse da stress negativo (distress) o da emozioni positive e accogliamole come messaggi che arrivano da noi stessi, che ci parlano e vogliono farsi capire. Lottare contro di loro è come lottare contro noi stessi. Come una guerra civile, farà solo molti danni.

 

Fonte: Rewriters

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