La terapia genica con cellule Car-T, una delle declinazioni più promettenti dell’immunoterapia, sta dimostrando di poter essere efficace anche nei tumori solidi.

Sono considerate una delle declinazioni più promettenti dell’immunoterapia e stanno anche iniziando a dimostrare di poter essere efficaci nei tumori solidi, fino a poco tempo fa ritenuti difficilmente affrontabili con questa strategia: le Car-T, in clinica da poco più di dieci anni, hanno il potenziale per rivoluzionare la terapia di diversi tipi di tumori.

Cellule addestrate

In pratica si tratta di raccogliere dal sangue del paziente i linfociti T, cellule del sistema immunitario che possono combattere contro batteri, virus ma anche cellule tumorali, per poi modificarle geneticamente in modo che diventino cecchini quasi infallibili contro il tumore: in laboratorio vengono infatti “riprogrammate” con un vettore virale che inserisce il gene di un recettore (Chimeric Antigen Receptor, da cui l’acronimo Car) in grado di riconoscere proteine specifiche, espresse sulla superficie delle cellule del tumore. Quindi le cellule-chimera vengono fatte moltiplicare in vitro e reinfuse nel paziente, per riconoscere, attaccare ed eliminare il tumore: i successi contro leucemie, linfomi e mieloma sono ormai una certezza e gli studi si moltiplicano per capire come affinare ulteriormente la terapia e ampliarne gli usi, per esempio anticipandone l’impiego in prima linea di terapia anziché dopo il fallimento di altri trattamenti.

Come spiega Stefania Bramanti, responsabile del Programma Car-T all’Humanitas Cancer Center di Milano, «la ricerca ora mira anche a migliorare le Car-T, per esempio producendole con piattaforme diverse dalle attuali che consentano di ridurre i tempi di realizzazione (per l’intero processo servono in media tre-quattro settimane che per alcuni pazienti possono essere un’attesa troppo lunga, ndr) oppure prendendole da donatori sani compatibili, in modo da averle a disposizione in maniera più rapida. Si stanno anche studiando Car-T con due recettori, mirate perciò contro due bersagli e quindi in grado di superare meglio i meccanismi di resistenza che il tumore mette in atto per sopravvivere, perché se un bersaglio viene modificato per “resistere”‘ può sempre funzionare l’altro. Si tratta di opportunità che possono rivelarsi preziose per pazienti più fragili, per esempio perché anziani o con altre malattie, perché sono promettenti anche dal punto di vista della ridotta tossicità».

Appropriatezza e accessibilità

Non tutti i pazienti però possono essere candidati alla terapia con Car-T e non in tutti la terapia ha successo: la selezione dei casi da trattare, tenendo conto del rapporto rischio/beneficio per ciascuno, è indispensabile perché siano prescritte con la massima appropriatezza anche perché, trattandosi di cure molto costose, individuare chi ha la maggiore probabilità di risposta è essenziale.

«La sfida è ottimizzare la terapia con Car-T eseguendola nel paziente che può trarne massimo beneficio, offrendo una possibilità di guarigione definitiva», riassume Bramanti.

«Inoltre, anche l’accessibilità andrebbe migliorata. Oggi i centri italiani che possono erogare le Car-T sono 35, e ogni regione ne ha almeno uno: i centri sono aumentati, la mobilità dei pazienti si è ridotta ma il numero di procedure non è salito ed è cresciuta la quota di pazienti che esce dal programma d’intervento. Questo è accaduto perché con il proliferare dei centri è aumentata anche la diversità dei criteri con cui si stabilisce quali siano i pazienti adatti al trattamento perché, nonostante esistano indicazioni di AIFA, ogni struttura ha margine di autonomia: servirebbero perciò algoritmi di decisione condivisi a livello nazionale e programmi a lungo termine per i pazienti. Inoltre va considerato che oggi sono disponibili molti farmaci offerti come alternative apparentemente meno costose, che rischiano però di “cronicizzare” i pazienti perdendo di vista l’obiettivo finale».

In questo senso viene in aiuto per esempio il Simulation Center di Humanitas, un centro dedicato alla simulazione per la formazione degli studenti e l’aggiornamento dei professionisti. Qui gli specialisti possono condividere gli aspetti teorici e pratici della cura con le Car-T, aggiornando le strutture che sono state man mano attivate: dai criteri di scelta alla gestione della tossicità, i partecipanti possono imparare a gestire i loro pazienti allenandosi sui casi proposti in tutta sicurezza, su manichini robotizzati e scenari ad alta fedeltà.

Non è un caso che questa iniziativa sia partita in Humanitas: l’Humanitas Cancer Center dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, inaugurato nel 2010, è infatti un centro per la cura dei tumori che accoglie circa 30mila pazienti con 7mila nuovi casi l’anno e che, oltre a offrire percorsi organizzati per patologia, terapie personalizzate, tecnologie e ricerca all’avanguardia, è anche sede di un Unità dedicata alle Car-T dove sono stati avviati numerosi progetti di ricerca clinica. Non è un dettaglio secondario perché, come conclude Bramanti, «avere protocolli di sperimentazione significa farvi accedere pazienti che sappiamo possono trarre beneficio dalle cure prima che queste arrivino in commercio, per di più senza gravare allo stesso tempo sulla spesa del Servizio Sanitario Nazionale».

 

Fonte: Focus

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