La ricerca è fondamentale nella riprogettazione di dispositivi protesici, per migliorarne prestazioni, comfort e indossabilità, oltre che per favorirne l’accettazione da parte della persona che l’utilizza. Simone Pittaccio, dell’Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia del Cnr, illustra approcci e strategie innovativi nella scienza e tecnologia dei materiali.

La sostituzione di parti del corpo irreparabilmente danneggiate da malattie o infortuni con dispositivi artificiali permette a molte persone amputate di svolgere autonomamente le attività quotidiane, di lavorare, camminare, guidare e fare sport. La progettazione di protesi altamente compatibili e integrabili con le parti del corpo alle quali si interfacciano è un elemento chiave per consentire un completo reinserimento sociale e lavorativo di suddette persone. In questo contesto, lo studio di nuovi materiali strutturali e funzionali che supportino la progettazione biomeccanica di protesi sempre più performanti costituisce una linea di ricerca molto attiva e con risultati promettenti, alcuni già testati sul campo. In particolare, oltre alla del dispositivo, è fondamentale garantirne l’indossabilità e il comfort. Un altro punto importante riguarda l’accettazione da parte del paziente della protesi.

Protesi

Spesso, per sviluppare processi e materiali innovativi, si prende ispirazione dalla natura, come spiega Simone Pittaccio, ricercatore dell’Istituto di chimica della materia condensata e di tecnologie per l’energia (Icmate) del Cnr: “Il rapporto tra forma e proprietà dei materiali è molto sviluppato nel mondo naturale, che ha svolto per milioni di anni processi di affinamento delle capacità strutturali in relazione al peso. La metastrutturazione dei materiali permette di generare dispositivi robusti e leggeri, di morfologia complessa quanto l’anatomia individuale dei pazienti e di aggiungere caratteristiche funzionali in regioni localizzate, al fine di garantire freschezza, acquisizione di bio-segnali o smorzamento di carichi impulsivi”.

Una componente importante in cui i materiali possono fare la differenza è l’invasatura, ovvero quella parte che, connettendo la zona dell’amputazione alla parte meccanica della protesi, funge da interfaccia. “Attraverso la pelle, il corpo umano regola la temperatura corporea tramite una serie di meccanismi fisiologici tra cui la sudorazione; la presenza della protesi limita questi meccanismi poiché la pelle è a contatto con materiali che non sempre favoriscono l’evaporazione del sudore e lo scambio termico” continua il ricercatore. “In condizioni di esercizio fisico moderato, la temperatura all’interfaccia pelle-protesi può crescere anche di alcuni gradi rispetto al valore medio fisiologico, e anche l’umidità può aumentare, con conseguenze negative sulla salute della pelle e sul comfort del dispositivo. Una riprogettazione globale dell’invasatura che sfrutti i ruoli complementari e interconnessi di forma e proprietà dei materiali può portare molti vantaggi in termini sia strutturali, sia funzionali. Si parte dallo sviluppo di una geometria personalizzata e, in ambiente virtuale, si dà forma alla metastruttura che realizzerà il dispositivo. L’arto del paziente viene digitalizzato e poi si disegna l’invasatura minimizzando il peso, massimizzando gli scambi termici e integrando in zone specifiche materiali con proprietà funzionali”.

Protesi

La stampa 3D è una tra le tecniche più promettenti perché permette di realizzare la metastruttura attenendosi ai dettagli complessi del design e aprendo al contempo all’utilizzo di materiali innovativi rispetto alle resine tradizionali. Una delle strategie per diminuire gli effetti del ridotto scambio termico all’interfaccia con la protesi è, infatti, utilizzare materiali in grado di dissipare il calore accumulato in maniera efficiente a temperature prossime o uguali a quella ambiente. Una classe di materiali molto interessante e utilizzata anche nell’ambito del risparmio energetico degli edifici  è quella dei Phase Change Materials (Pcm). I Pcm sono in grado di assorbire e rilasciare il calore latente in maniera reversibile durante la transizione di fase, mantenendo quasi costante la temperatura dell’ambiente circostante. Per ottimizzare la trasmissione del calore dall’interfaccia all’esterno, un materiale potenzialmente applicabile è il grafene ossido ridotto ( rGO), caratterizzato da elevati valori di conducibilità termica. “Le invasature sono ottenute facendo fluire della resina attorno alla metastruttura stampata in 3D. I Pcm mescolati nella resina ne modificano le caratteristiche rendendola capace di assorbire calore. L’rGO viene invece stabilizzato su fibre tessili che sono usate come rinforzo per la resina”, spiega Pittaccio.

Questo tipo di approccio multimateriale è alla base del progetto Maps (Multimaterials for Adapted Prosthetic Sockets), finanziato da Inail e coordinato dal Cnr-Icmate, con la partecipazione dell’Istituto per i polimeri composti e biomateriali del Cnr, del Politecnico di Milano e di Univerlecco. I risultati preliminari del progetto hanno mostrato un effettivo miglioramento della leggerezza, dello scambio termico del materiale e un migliore comfort della protesi, che viene percepita come più fresca. “Stiamo studiando molti altri materiali per la protesica e l’ortesica. Nel progetto ProFil (Filamenti multi-materiali per la realizzazione di protesi personalizzate ad alte prestazioni con focus su adaptive sport), finanziato da Inail e coordinato questa volta dal Cnr-Ipcb, il nostro gruppo si occupa di progettazione biomeccanica di protesi di piede stampate 3D in composito. Inoltre, stiamo approfondendo l’applicabilità della manifattura additiva anche a leghe leggere metalliche per le applicazioni in para-sport come la scherma in carrozzina”, conclude il ricercatore. “Infine, stiamo sviluppando con l’Istituto zooprofilattico della Sicilia nuove protesi multimateriali di pinna per tartarughe marine. Altre linee di ricerca importanti legate all’ortesica e alla protesica indossabile sfruttano le leghe a memoria di forma come smorzatori o attuatori”.

 

Fonte: Almanacco della Scienza

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