Ondate anomale di calore, incendi, siccità, alluvioni, allagamenti, valanghe. Gli esperti li chiamano “eventi estremi”. In realtà sono tragedie che hanno un costo altissimo in termini di vite umane e biodiversità. Tutte accomunate dallo stesso marchio di fabbrica: sono riconducibili, più o meno direttamente, ai cambiamenti climatici in atto sul pianeta, a loro volta legati all’attività umana, e in particolare al rilascio dei gas climalteranti in atmosfera. Una questione su cui la comunità scientifica ha raggiunto ormai un consenso pressoché unanime, e le cui dinamiche sono oggetto di studio da diversi decenni: uno sforzo che ha ricevuto il suo riconoscimento con il conferimento del premio Nobel per la fisica del 2021 a Syukuro ManabeKlaus Hasselmann e Giorgio Parisi proprio per i loro lavori sui sistemi complessi e sui cambiamenti climatici.

Il consenso scientifico sull’origine antropica del cambiamento climatico. Immagine: University of Queensland, John Garrett

Tra i ricercatori che si sono distinti nel campo merita certamente una menzione Timothy Palmer, fisico alla University of Oxford, uno dei più grandi esperti mondiali di non-linearità e di dinamiche del sistema climatico. Palmer sarà in Italia la prossima settimana, in occasione del simposio per il centenario dell’Unione Internazionale di Fisica Pura e Applicata (Iupap) in programma a Trieste dall’11, al 13 luglio. È stata l’occasione per raggiungerlo e farci raccontare qualcosa in più su questo clima impazzito.

 

Professor Palmer, come è cambiata nel corso del tempo la nostra capacità di prevedere l’evoluzione del clima? E perché?

“La ‘rivoluzione’ nel campo dei modelli climatici è avvenuta tra gli anni Sessanta e Settanta, quando l’équipe di Syukuro Manabe, Nobel per la fisica 2021, ha messo a punto dei modelli che spiegavano l’interazione tra il bilancio della radiazione solar e il trasporto verticale delle masse d’acqua dovuto alla convezione. Questi modelli prevedevano non soltanto il ‘banale’ aumento della temperatura media superficiale della Terra, che effettivamente sarebbe stato spiegabile anche con meccanismi che non coinvolgevano le emissioni di gas serra da parte degli esseri umani – per esempio un aumento dell’attività solare –, ma anche altri due fenomeni: il raffreddamento della stratosfera e il riscaldamento più marcato della regione artica. Fenomeni che si sono puntualmente verificati, il che conferma la bontà dei modelli di Manabe. Negli anni a seguire ci sono stati ulteriori miglioramenti, soprattutto grazie a due elementi: la raccolta di dati satellitari sempre più precisi e l’avvento dei supercomputer. In questo modo è stato possibile da una parte avere a disposizione un insieme più preciso di condizioni iniziali da dare in pasto ai modelli, dall’altro una potenza di calcolo che ha permesso di risolvere le equazioni dei modelli con una risoluzione spaziale sempre maggiore. Lo stesso è successo con le previsioni del tempo: negli anni Settanta si potevano formulare previsioni al massimo per le 48 ore successive, ora riusciamo a ‘vedere’ anche fino a una settimana. C’è però ancora molto da fare: dobbiamo diventare ancora più bravi, soprattutto nel migliorare la risoluzione spaziale dei modelli, in modo da avere previsioni su scala regionale e locale. Il mio lavoro si concentra proprio su questo”.

La scienza del clima si basa sul concetto di “non-linearità”. Ci spiega di cosa si tratta?

“Sono non lineari tutti i fenomeni in cui l’output non varia proporzionalmente al variare dell’input. Mi spiego con un esempio: se lei vincesse un milione di euro alla lotteria, sarebbe probabilmente molto felice. Se ne vincesse dieci, sarebbe ancora più felice, ma non dieci volte più felice: la felicità è un fenomeno non lineare. Lo stesso vale per il clima, ed è questo che rende le cose molto complicate. Raddoppiare la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera non porta, per esempio, a un raddoppiamento della temperatura: la relazione è più complessa. A rendere le cose ancora più difficili le cose c’è il fatto che il sistema climatico è un sistema complesso, ovvero un sistema in cui a una piccola variazione delle condizioni iniziali corrisponde una grande variazione del sistema dopo un certo periodo di tempo. Questo rende difficili fare delle previsioni ‘puntuali’, anche se la statistica ci consente di prevedere macroscopicamente l’andamento del clima, nel suo complesso”.

Uno degli errori più comuni è quello di confondere il meteo con il clima – anche perché la lingua italiana, a differenza dell’inglese, non distingue tra weather e climate. Ricordo un tweet di Donald Trump in cui, lamentandosi del freddo rigido di qualche inverno fa, chiedeva sarcasticamente un presto ritorno del riscaldamento globale. Ci aiuta a capire la differenza tra le due cose?

“Le rispondo, ancora una volta, con un esempio. Supponga di avere un mazzo di carte e di mescolarle in modo da avere una sequenza del tutto casuale. Ora supponga di sfogliare il mazzo, e che ogni carta rossa corrisponda a un giorno più caldo del normale e ogni carta nera a un giorno più freddo del normale. Certamente non ci stupiremmo di avere, di tanto in tanto, sequenze di due, tre, quattro o più carte rosse o nere: ripetendo la sfogliata del mazzo un numero abbastanza grande di volte, troveremmo comunque una frequenza del 50% per ciascun colore. Se però dal mazzo si tolgono dieci carte nere la situazione cambia: potrà ancora succedere di imbattersi in una sequenza lunga di carte nere, ma ripetendo l’esperimento si noterà un’anomalia rispetto a un mazzo normale. Ecco: la singola carta è il tempo meteorologico, mentre il mazzo è il clima. E al momento stiamo giocando con un mazzo truccato”.

Quali sono i dati che mostrano inequivocabilmente che il clima sta cambiando e che non si tratta di una “fluttuazione”, come sostiene qualcuno?

“Certamente la temperatura media globale, che si è mantenuta stabile per migliaia di anni e poi, dalla rivoluzione industriale, ha cominciato inesorabilmente e incontrovertibilmente a salire. Questo è il dato di riferimento per la comunità scientifica. E poi ci sono le evidenze aneddotiche degli eventi estremi, che sono sempre più frequenti e sempre pi estremi: lo scorso anno in British Columbia, a latitudini molto elevate, si sono registrate temperature di 50 °C. Sulla Marmolada si è appena disintegrata una grande quantità di ghiaccio, causando la tragedia di cui tutti abbiamo letto. E si potrebbero fare moltissimi altri esempi di questo tenore. Dovrebbe essere evidente a tutti che sta succedendo qualcosa di strano, di anomalo”.

Torniamo ai modelli climatici. Come funzionano? Quanto sono attendibili?

“I modelli climatici sono molto complessi. Per semplificare le cose, possiamo pensare che agli estremi dello spettro ci sono i modelli super-semplificati, che servono a corroborare o smentire le ipotesi della teoria, e quelli super-complessi, che danno risposte quantitative e precise, ma la cui soluzione richiede molto tempo e molta potenza computazionale. È la cosiddetta ‘gerarchia dei modelli’: con i primi modelli cerchiamo di capire quali sono le variabili importanti e quali quelle che possiamo trascurare; con i secondi simuliamo l’evoluzione del clima usando solo le variabili importanti”.

Quali scenari prevedono per il futuro?

“Tutto dipende da quanto rapidamente aumenteranno le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera, variabile che, naturalmente, i modelli non possono prevedere. Nello scenario in cui dovessimo continuare a immettere anidride carbonica in atmosfera si prevede un ulteriore aumento di temperatura nel prossimo secolo, anche fino a 4 gradi in più. Sarebbe una catastrofe: i mari si innalzerebbero, sommergendo molte città costiere; aumenterebbero desertificazione, siccità e gli altri eventi estremi di cui abbiamo parlato; intere popolazioni sarebbero costrette a spostarsi altrove. Insomma, niente di buono”.

 

Fonte: Galileo

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