A sfogliare le riviste settimanali femminili sembra che il tempo non sia passato, né il cambiamento climatico esistito. Ieri come 25 anni fa, infatti, durante l’estate c’è l’immancabile pagina sui prodotti solari, con tanto di sempiterna modella taglia 36-38 col cappello di paglia e la pelle ambrata. Mano mano sono però cambiati i prodotti: le grandi aziende spingono ormai su latti iperprotettivi e iperidratanti dalla texture sempre più impalpabile: la spalmata con le mani sotto l’ombrellone appare ormai quasi rozza se comparata agli eterei fluidi trasparenti e agli spray che sembrano acqua. Ma la verità è che per quanto puri, impalpabili e immateriali questi filtri solari sono comunque inquinanti perché quasi mai biodegradabili, oltre al fatto che vanno applicati più volte rispetto alla crema tradizionale.

È ormai noto e arcinoto, ma vale la pena ripeterlo, che le creme solari mettono a rischio la vita dei coralli, provocandone lo sbiancamento – lo ha dimostrato uno studio italiano uscito già qualche anno fa sulla “Environmental Health Perspectives” – tanto che alcune note località turistiche come la Florida, Palau, le Hawaii e i Caraibi le hanno letteralmente messe al bando, preferendo rischiare di avere meno turisti che distruggere per sempre il loro habitat. Non solo, i filtri “chimici”, oltre che inquinanti per gli ecosistemi marini – una goccia di crema può inquinare una vasca da bagno e sbianca dieci centimetri di corallo in poche ore – possono accumularsi in vari organismi marini tra cui pesci e meduse. La denuncia arriva anche da un recente rapporto di Greenpeace, “Plastica liquida, l’ultimo trucco per avvelenare il mare”, secondo cui ingredienti in plastica utilizzati per aumentare la viscosità di un prodotto o la sua opacità verosimilmente sarebbero presenti anche in cosmetici e creme solari. Precisamente, sul banco degli imputati, secondo il Wwf, soprattutto quattro sostanze: Oxybenzone (BP3),ethylhexylmethoxycinnamate (EHMC) ma anche 4-methylbenzylidene camphor (4MBC), e altre sostanze come parabeni (butylparaben).

Tocca dunque stare a spulciare il cosiddetto “INC”, cioè la lista degli ingredienti sul retro delle creme rischiando di non capirci nulla? Oppure mettersi a trafficare col fai-da- te, rischiando però solo di provocare danni più o meno irreparabili? Una valida alternativa è quella di cercare direttamente, su siti o negozi, solari biologici e biodegradabili. In effetti, le nuove aziende che li producono sono tantissime, e c’è differenza, sì, tra mettersi addosso prodotti come oli vegetali naturali emollienti, vitamine, e filtri “fisici” come ossido di zinco o biossido di titanio, rispetto a sostanze puramente “chimiche”, unite a coloranti, conservanti, solventi, parabeni e altre sostanze chimiche di sintesi. È vero, spesso la spalmabilità dei prodotti più “naturali” è un po’ più faticosa, e a volte – ma sempre meno – lasciano tracce bianche ma i benefici sono notevoli, anche in termini ambientali. Visto che, tra l’altro, le creme solari tradizionali si presentano in sgargianti confezioni di plastica dura con tanto di mega spruzzatore sempre in plastica. Infine, botta di fortuna, molti prodotti ecologici e biologici costano come quelli della grande distribuzione o leggermente di più (ma il prezzo leggermente più alto aiuta l’uso oculato).

Certo, resta sempre un po’ difficile capire davvero quale sia un prodotto davvero “ocean friendly” e quanto siano effettivamente biodegradabili e non tossici, per il mare e per la nostra salute, i solari eco e bio. Di fatto, al di là delle confezioni con gli slogan verdi, manca ancora una chiara regolamentazione che assegni con chiarezza criteri che definiscono un prodotto veramente amico dell’ambiente.

E allora come trovare la sintesi tra la protezione ansiosa dei pargoletti e quella del mare dove i pargoletti si immergono e giocano? La morale della favola ce la spiega Lucia Cuffaro, scrittrice, blogger esperta di autoproduzione e Co-presidente del Movimento Per la Decrescita Felice. Che ci dà anche qualche consiglio per l’uso. “Non occorre abusare di creme solari, proprio perché hanno sempre all’interno una componente di sostanze grasse e, se non si tratta di prodotti biologici, di sostanze derivate dal petrolio che quindi possono non solo inquinare il mare, ma anche creare un filtro e una sorta di cappa tra il sole e il mare in superficie. Quindi è importante ridurle il più possibile: ad esempio perché non utilizzare nelle ore più calde magliette bianche o camicie? L’altro punto importante è non utilizzarle nel momento del bagno in mare, anche in piscina, ma prima. L’ideale infine è comprare prodotti biologici certificati che non contengano derivati dal petrolio soprattutto anche siliconi, profumi di sintesi sia dal punto di vista di salute ma soprattutto di inquinamento dei mari e delle acque”.

Aggiungiamo un’altra pillola di buona senso, anzi due: oltre a usare con parsimonia le creme, evitiamo di comprare il doposole. I doposoli sono l’inutile, creato appunto per moltiplicare i prodotti (“sole e doposole” e poi?). Il doposole è un semplice crema idratante, punto e basta, dunque basta un semplice idratante. Seconda pillola: non è vero che le creme vadano per forza buttate a fine stagione. Secondo un’indagine di Altroconsumo, alcuni prodotti noti testati dopo un anno, anche se aperti, si sono dimostrati identici. Vale il buon senso, e l’uso del naso e degli occhi. Se odore e colore sono uguali, se gli ingredienti non si sono separati, ad esempio l’olio dalla crema, non c’è bisogno di creare un rifiuto con tanto di spreco. Né, come alcuni ecoblogger consigliano, usarle per pulire i divani, lucidare i metalli o come impacco per i capelli. Al massimo, quello sì, utilizziamo come crema idratante anche dopo le ferie, che tanto col cambiamento climatico – sic- è ormai estate almeno per mezzo anno. Ma questo le riviste femminili non lo sanno, e infatti a settembre ti propongono subito lo scrub.

 

Fonte: Il Fatto Quotidiano
LEGGI TUTTE LE ALTRE NEWS