Sintomi debilitanti multiorgano che non passano a distanza di mesi. Senza una presa in carico di questi pazienti, i costi previdenziali potrebbero lievitare.
Una persona malata di Covid-19 su 10 continua a soffrire di sintomi e conseguenze della malattia ancora dopo 12 settimane: è quello che gli esperti chiamano Long Covid. E per le autorità sanitarie deve diventare da subito una priorità, come ha detto nei giorni scorsi anche il direttore dell’Oms Europa, Hans Kluge. Indipendentemente dalla gravità della malattia avuta, i segni che il Sars-Cov-2 lascia sull’organismo possono durare mesi e avere conseguenze sulla respirazione, le capacità fisiche e il benessere psicologico. Ma con un’attenta riabilitazione il Long Covid si supera, e si supera prima.

Un progetto nazionale

È stato lo stesso ministro della Salute Roberto Speranza ad annunciare un progetto nazionale su questo fronte, visto che al momento ci sono solo iniziative isolate di singole strutture sanitarie sparse sul territorio: in Italia ci sono quasi 3 milioni di persone che hanno avuto il Covid, 300mila rischiano di soffrire a lungo delle conseguenze del virus. «Su questo pezzo di Paese – ha detto nei giorni scorsi Speranza – c’è un’attenzione molto alta. Ci sono protocolli e progetti che stiamo studiando, ipotesi sperimentali che stiamo verificando, per capire le conseguenze di lungo termine del Covid».
A mettere in luce l’allarme cure sul Long Covid è una lunga lista di articoli scientifici, condotti in tutto il mondo. Tra questi, uno studio degli Istituti Clinici Scientifici Maugeri e in via di pubblicazione su «Respiration», che ha esaminato i dati di 140 pazienti sottoposti a un percorso di riabilitazione, osservando già dopo 3 settimane un miglioramento significativo nel 75% dei casi. «I problemi del Long Covid dipendono da molti fattori e possono interessare l’aspetto respiratorio, cardiologico e muscolare – spiega Michele Vitacca, direttore del dipartimento Pneumologia Riabilitativa degli Ics Maugeri Pavia -. I due sintomi principali sono fiato corto e la stanchezza cronica, a volte accompagnati da ansia, disturbi di memoria, depressione, danno neurologico e muscolare».
Tutto questo lavoro coinvolge necessariamente un team multidisciplinare, un lavoro di squadra tra fisioterapista, pneumologo, cardiologo e psicologo.
«È un problema emergente di sanità pubblica perché più aumentano gli infetti Covid, più una percentuale di questi ha esiti che possono diventare permanenti se non riabilitati – afferma Sandro Iannaccone, primario dell’Unità di Riabilitazione Disturbi Neurologici Cognitivi-Motori del San Raffaele di Milano, la cui esperienza è stata ripresa per la stesura delle linee guida internazionali sulla riabilitazione Covid -. Che si traduce anche in un problema di economia sanitaria, perchè con meno riabilitazioni aumenta la spesa previdenziale».

Come possiamo quindi affrontare il Long Covid?

Riorganizzando la sanità e la riabilitazione sul territorio e a livello ambulatoriale. «La federazione italiana delle società scientifiche sta elaborando una proposta, che è stata chiesta dalla presidenza dei Consiglio dei Ministri – continua Iannaccone -. Tra le possibili soluzioni, c’è l’implementazione delle cosiddette macroattività ambulatoriali coordinate, dove più terapisti organizzano, in una sorta di day hospital, 2-3 ore di attività per il paziente in base al piano riabilitativo personalizzato».
Va in questa direzione il programma di riabilitazione post Covid-19 attivo presso l’Upmc Institute for Health di Chianciano Terme. Il Centro toscano capitalizza l’esperienza che la società ha avviato già lo scorso ottobre negli Stati Uniti, dove sono stati curati oltre 200 pazienti. «Sono oltre 320 gli stabilimenti termali sul territorio italiano, presidi sanitari obbligatori che si sono organizzati per erogare servizi utili alla riabilitazione da post Covid-19, dichiara Massimo Caputi, presidente Federterme, che già aveva proposto al ministro della Sanità di adibire tutte le stazioni termali a centri per le vaccinazioni.

Ricerca per comprendere le cause

Ma c’è anche un tema di ricerca per comprendere le cause di questi effetti a lungo termine, che non risparmiano nessuno; e sintomi come confusione e difficoltà di concentrazione compaiono anche tra persone giovani senza fattori di rischio o tra chi ha avuto solo sintomi lievi di Covid-19.
«È una sfida del tutto nuova – dice Annamaria Cattelan, direttore Malattie infettive dell’Azienda ospedaliera di Padova – A questo scopo stiamo costituendo dei gruppi di lavoro per capire in che modo e in che percentuale è più importante un fattore piuttosto che un altro. Valutare quanti pazienti a più di sei mesi presentano ancora dei sintomi è certamente di una certa rilevanza».

E sul fronte impatto dei vaccini vs Long Covid, gli esperti non si sbilanciano: vedremo quando ci sarà una massa importante di vaccinati, quello che oggi stiamo vedendo è che alcuni pazienti che hanno avuto una forma leggera di Covid hanno disturbi per tanto tempo. Bambini compresi.

Fonte24+ de IlSole24Ore

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