I cambiamenti climatici stanno portando a un progressivo impoverimento dei bacini idrici e diseccamento del suolo, specie nel nord del paese, come dimostrano anche eventi recenti di assenza prolungata di pioggie. È dunque necessario pianificare una gestione del rischio, per non lavorare solo in emergenza.

Febbraio 2022. Il Po in centro a Torino. Dopo un consistente periodo di siccità, il fiume e il suo bacino hanno una portata d’acqua inferiore alla metà del normale.

Prima un inverno con oltre 100 giorni senza piogge che ha prosciugato i bacini, poi l’arrivo del caldo anomalo primaverile che ha aumentato l’evapotraspirazione. E ora l’Italia si trova ad affrontare una siccità che in alcune aree del paese è definita dagli stessi ricercatori come “estrema”. Nel bollettino di aprile 2022 redatto dall’Osservatorio sulla siccità del CNR-IBE Climate Services, si sottolinea come alcune Regioni quali Piemonte, Emilia Romagna e Veneto presentano oltre il 25 per cento del loro territorio affetto da siccità severo-estrema, dovuta a una scarsità di piogge che risale ad almeno un anno.

Si tratta di un evento estremo che conferma gli scenari descritti dal Working group II dell’Intergovernmental panel on climate change (IPCC) – il secondo rapporto uscito a marzo 2022 – dove si spiega come nell’Europa meridionale, anche con un livello di riscaldamento globale di 1,5°C, il rischio di scarsità di risorse idriche sarebbe già elevato, con una percentuale di popolazione che dovrebbe affrontare la scarsità di acqua variabile tra il 18 e il 54 per cento. Analogamente, l’aridità del suolo aumenterebbe con l’aumentare del riscaldamento: in uno scenario di innalzamento della temperatura di 3°C l’aridità del suolo risulta del 40 per cento superiore rispetto a uno scenario con innalzamento della temperatura a 1,5°C.

“L’ultimo bollettino è aggiornato alla fine di aprile, quando abbiamo registrato due episodi di piogge nella prima parte del mese e uno a fine mese”, spiega a “Le Scienze” Ramona Magno, dell’Istituto di bioeconomia (IBE) del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), che si è occupata del rapporto. “Rispetto alle condizioni di fine marzo dove non pioveva da oltre 100 giorni, queste hanno dato un sollievo solo nel breve termine.”

La mappa mostra la rapida evoluzione dell’umidità superficiale del suolo e delle condizioni di stress delle colture, valutate con un indice detto ESI (evaporative stress index). Ad aprile i valori dell’ESI sulle quattro settimane indicano forti condizioni di stress su buona parte del centro-nord, condizioni che si estendono e intensificano se si considerano gli ultimi tre mesi (Da Bollettino Aprile 2022 – Osservatorio siccità)

Infatti, andando a vedere l’indice di precipitazione SPI (standardized precipitation index) – indice scelto a livello internazionale per l’identificazione di siccità meteorologiche – le piogge non sono state sufficienti a lenire la siccità che interessa il nord della penisola, né sul breve periodo (tre mesi), né tanto meno sul medio e lungo periodo, con il Piemonte e la Bassa Padana che versano in condizioni definite severo-critiche.

“A causare la siccità non è stata solo l’assenza di pioggia – continua Magno – ma anche le temperature più alte registrate a febbraio, ed eventi di Foehn che hanno aumentato il disseccamento del terreno, creando una maggiore traspirazione delle piante che in questo caso vanno in stress.” Inoltre, l’evento siccitoso dell’inverno appena passato non è legato solo alla mancanza di precipitazioni, ma anche a un aumento di incendi invernali proprio nelle zone del nord Italia, Piemonte in testa. “Infine, dobbiamo considerare anche la scarsissima stagione nevosa, con un 50 per cento in meno rispetto all’annata 2020-2021, che fu piuttosto abbondante.”

Il bacino del Po in piena emergenza

L’affioramento di merci, veicoli o rifiuti abbandonati nel letto del fiume Po da oltre mezzo secolo è di sicuro impatto visivo. Ma lo può essere anche l’analisi dei dati raccolti fin qui dall’Autorità di bacino distrettuale e rilasciati all’inizio del mese di maggio: la sezione di Piacenza, per esempio, mostra una portata di 241 metri cubi al secondo con un deficit nel mese di aprile di -79 per cento, mentre quella di Cremona è a -72 per cento. “Nonostante gli ultimi eventi precipitativi, il deficit di portata rimane estremo in tutte le sezioni di misura”, scrive l’Autorità. “L’andamento delle portate osservate nel trimestre febbraio-marzo-aprile 2022 è risultato complessivamente confrontabile con l’andamento estivo medio del periodo giugno-luglio-agosto.”

Anche l’Associazione nazionale consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue ha rilasciato i dati a livello regionale: nonostante lo scioglimento del manto nevoso, il Po rimane ai valori minimi, mentre in Piemonte calano i livelli dei principali fiumi con le portate di Pesio, Tanaro e Sesia addirittura dimezzate in sette giorni. In Lombardia, dove la neve è circa il 62 per cento in meno di quella normalmente presente nel periodo, le portate del fiume Adda sono inferiori di oltre 200 milioni di metri cubi al secondo, rispetto allo stesso periodo estremamente siccitoso del 2017.

Anche il Veneto resta una delle regioni maggiormente in difficoltà idrica: secondo i rilievi dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) Veneto i livelli del fiume Adige sono oltre mezzo metro inferiori al 2017, ma in alcuni punti si arriva a –1,70 metri rispetto all’anno scorso. Stessa situazione si registra per tutti gli altri fiumi della regione, principalmente per Brenta, Livenza e Piave. Scendono a livelli da piena estate anche le portate dei fiumi toscani, con Arno, Serchio e Ombrone che hanno affluenze più che dimezzate rispetto alla media di maggio.

La situazione in Europa

Ulteriori conferme della gravità della situazione arrivano anche da un rapporto redatto sempre ad aprile dal Joint Research Centre della Commissione Europea, intitolato Drought in Europe, che conferma sostanzialmente i dati del CNR. In questo caso a essere colpiti da una grave siccità non è solo il bacino padano, ma anche il bacino idrico del Danubio, tanto che in questa regione si registrano problemi legati alla produzione idroelettrica, mentre nell’area mediterranea (Spagna e Italia) le colture sono già in stress idrico e potrebbero avere rese minori rispetto al passato.

Secondo il rapporto, inoltre, prendendo come parametro di confronto la media che va dal 2009 al 2021, lo scorso inverno si è avuto un deficit della copertura nevosa del 61 per cento per quanto riguarda le Alpi italiane. “Queste analisi ci dimostrano come il Mediterraneo sia un hot spot per quanto riguarda eventi estremi come la siccità”, conferma Magno. “I nostri dati mostrano come dall’inizio del secolo questi eventi abbiano aumentato di frequenza. Dal 2000 a oggi ogni tre o quattro anni abbiamo avuto episodi intensi che hanno interessato più zone d’Italia.”

A risentirne non sarà solo il settore energetico, ma soprattutto quello agricolo, oltre a settori correlati, come l’industria alimentare e i servizi all’ingrosso, tanto che le stime delle perdite economiche variano da 0,55 a 1,75 miliardi di euro, a seconda della gravità complessiva della siccità sperimentata. “La siccità è uno degli elementi che fa parte del processo di desertificazione. Effettivamente si sta andando verso una perdita di fertilità del terreno a causa della concomitanza degli effetti climatici e della gestione non oculata del territorio”, sottolinea la ricercatrice.”La siccità è subdola, parte in maniera lenta e quando poi si arriva agli impatti significa che il processo è iniziato ben prima.”

Per questo, quando si parla di adattamento è fondamentale fare affidamento alla gestione del rischio, più che alla gestione della crisi, come storicamente si è abituati a fare nel nostro paese. È necessario ripensare l’agricoltura, pensando a sistemi di efficientamento delle irrigazioni, o selezionando varietà resistenti alla crisi idrica, oltre che a prevedere invasi per aumentare l’accumulo. Secondo Piero Lionello dell’Università del Salento e del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici, “l’adattamento può inoltre basarsi sulla gestione della domanda della risorsa idrica, con meccanismi di monitoraggio, restrizioni, tariffe, misure di risparmio ed efficienza, gestione del territorio. La maggior efficienza dell’irrigazione ha già ridotto la scarsità d’acqua, in particolare nelle regioni meridionali. Tuttavia, in presenza di elevati livelli di riscaldamento, misure di risparmio idrico e di efficienza potrebbero non essere sufficienti per contrastare la ridotta disponibilità della risorsa”.

Nel frattempo sia i modelli previsionali europei che quelli nazionali ci indicano che stiamo andando verso l’ennesima estate più calda della media e meno piovosa. “Certo si tratta di modelli – conclude Magno – ma il fatto che ci sia conformità ci può far affermare che stiamo andando incontro a una stagione anormale.”

 

Fonte: Le Scienze

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